Anna Calvi (+altri), Barezzi Festival, Teatro Regio, Parma, 21 novembre 2018

foto @ Silvia Saponaro

La prima considerazione che si impone circa il Barezzi Festival è una lode per aver portato linguaggi altri all’interno della cornice di un teatro colto e alto, abituato per lo più a musica classica (e trattandosi del Regio di Parma, quasi monopolizzato da un secolo a questa parte da Giuseppe Verdi). La musica rock è perfetta per i teatri, e Anna Calvi lo ha dimostrato ancora una volta (non ce n’era bisogno, ma annotiamolo ulteriormente). Queste proposte dovrebbero entrare nel dna normale dei teatri, non solo di un festival una volta all’anno, in modo da alternare – alla musica classica, lirica, jazz e al cantautorato d’autore – anche il rock e la musica elettronica/ambientale. Lo ripeteremo sempre, e ci scuserete per l’arteriosclerosi.

Detto questo, entriamo nel merito della serata: ha aperto Joan Thiele nel Ridotto del Regio davanti a non tanto pubblico (erano le ore 19 infrasettimanali, non aiuta). L’esibizione è stata segnata da due inconvenienti tecnici importanti che hanno fatto saltare le basi nelle uniche due canzoni in cui la Thiele usava il pc. Due su due, insomma, una bella sfortuna. Joan non si è scomposta più di tanto però mi ha stranito che, una volta risolto il problema, non abbia rifatto i pezzi interrotti. Di solito si fa. Il resto della performance è stata solo lei con la sua Fender: la capacità vocale è elevata, e soprattutto per la sua attitudine di rendere quasi flow il suo cantato pop, e anche la resa chitarristica. Peccato che dal terzo pezzo in avanti abbia suonato totalmente scordata. Vabbé, in definitiva una più compiuta valutazione della Thiele è rimandata ad un’esibizione in cui le condizioni esterne possano essere più congeniali (sperando di vederla con una band, alcuni brani – come “Taxi Driver” – lo meriterebbero).

Il Festival è continuato sul palco vero e proprio del Teatro Regio con Guido Maria Grillo, salernitano ma da anni adottato da Parma, che ha presentato il suo nuovo progetto con solo pianoforte ed archi. E’ una nuova veste questa, lui che era abituato prima a sonorità più irruente e, da ultimo, più pop. Dopo aver fatto diversa strada, Guido ha scelto di tornare all’archetipo musicale, ai codici classici, per vestire di una forma più tradizionale ma per questo maggiormente ideale. In effetti, ogni cosa ha la sua stagione. Particolarmente toccante il testo di “Cosa Conta”, dedicato alla madre. Il nuovo album di Guido Maria Grillo è atteso per gli inizi del 2019, sulla neonata Barezzi Label.

Poi arriva lei, la regina della serata, in abito nero, giacca bianca, scarpe rosse. Anna Calvi sta vivendo un momento d’oro, e non lo scopriamo noi: in “Hunter” è riuscita a condensare la summa della sua poetica ammorbidendo alcuni suoi spigoli in chiave pop, e anche la riproposizione live del disco conferma questa impressione. Chi l’accompagna sono solo batteria e tastiere, ma è già sufficiente perché lei tiene su tutto da sola. L’esempio più lampante è la versione interminabile di “Wish”: all’inizio è lei che tiene il ritmo ipnotico con una pennata nervosa, e poi da vera maestra d’orchestra dirige la parte calm before the storm che esplode, appunto, in un lancinante assolo e un roboante drumming. La Calvi infatti ha questa dote: è pienamente contemporanea per quella sua immagine algida e molto curata, ma allo stesso tempo dimostra più volte la sua passione per quelle soluzioni (e pose) da rockers degli anni ’60 figli di Jimi Hendrix (il che in effetti – oggi – è davvero fuori moda, purtroppo fuori moda, aggiungo io). La scaletta è essenziale, come ci aveva abituato solitamente la Calvi, ma è una scelta corretta, pensata, cesellata. La sobrietà di lunghezza del concerto convive e coincide con un’enorme trasmissione di energia. Un concentrato di forza. Non a caso abbiamo aperto l’articolo con la sua foto sdraiata sul palco, al termine dello show, esausta. Il bellissimo scatto (opera di Silvia Saponaro) restituisce la strenua passione veicolata durante l’ora e quarto di concerto, e la conseguente quiescenza finale. Non c’è bisogno di altro, cara Anna.

Un’intensità talmente alta che al termine si è rinunciato a fruire del live di Maria Antonietta: volevamo tornare a casa con nelle orecchie la voce stentorea di Anna e il suo chitarrismo elegante e brusco, e questa esibizione davvero memorabile.

(Paolo Bardelli)

foto di Silvia Saponaro

tranne Joan Thiele (foto Paolo Bardelli)

per la scaletta si ringrazia Enrico Fiorasi