Quattro uscite su cassetta per la label messicana “Umor Rex”

La Umor Rex di Città del Messico è una delle realtà più interessanti sul panorama mondiale per quello che riguarda la musica ambient minimalista e sperimentale. Nata come una estensione del progetto editoriale “Contramotor” (2004) nel 2006, la label è stata fondata da Eduardo Padilla, Daniel Castrejon e Edgar Medina. Dal 2010 rilascia album anche in formato fisico e negli ultimi due-tre anni ha incrementato la propria produzione con proposte sempre più interessanti. Solo quest’anno ha già sfornato una serie di “release” semplicemente fantastiche: da “Sirimiri” di Rafael Anton Irisarri a “Exit Future Heart” (Dustin Wong + Takako Minekawa + Good Willsmith) a “Shunter” (Driftmachine)…

Forte di una partnership con due label sempre sul pezzo come la Thrill Jockey e la Morr Music, le pubblicazioni della label, oltre che su formato digitale, avvengono su LP o secondo una modalità molto apprezzata dai collezionisti in questo ultimo periodo, su cassetta.

Il 28 settembre scorso la Umor Rex si è “superata” con la pubblicazione contemporanea di quattro lavori di quattro diversi artisti e tutti editi in formato digitale e su cassetta e registrati appositamente per la riproduzione su nastro: una buona occasione per conoscere e far conoscere il suo lavoro ai lettori di Kalporz.


ALEJANDRO MORSE, “Liminal”

Alejandro Morse, pseudonimo oppure nickname di Edgar Medina, è uno dei fondatori e dei titolari del progetto Umor Rex, la label di Città del Messico legata a doppio filo alla Thrill Jockey di Chicago e di cui costituisce una specie di filiale e dedicata specificamente alla produzione e diffusione di musica minimalista e sperimentale (non va sottovalutata la partnership anche con altre etichette come la Morr Music…). Praticamente ambient nella accezione più vasta del termine. Medina è chiaramente anche una delle figure più autorevoli della label e esponente di punta del genere neo-classico sintetico e vanta collaborazioni a tutti i livelli con altri artisti affermati nel genere (tra cui menzionerei tra i più celebri Juan Pablo Villegas oppure Murcof) sia come compositore e musicista che come produttore. Qui si disimpegna in un album completamente nuovo e diffuso in formato digitale e su cassetta in cui propone sei tracce di musica minimal ambient estesa e che si dipana attraverso lo spazio circostante come nello spirito degli ascoltatori. Un album che in qualche maniera ti insegna a respirare secondo le battute di pezzi glaciali come “Erdrkiner Brotherhood” oppure il sound sacrale di “The Room”, le onde sonore spaziali di “Farewell Twilight Bird”. Ma i contenuti dell’album sono nel complesso universali e superano i confini di genere con un drammatismo cinematico che si sublima nei momenti drammatici e post-apocalittici e il pathos di “Empty Cage”; il drone di “Clear(ish) Light”, ma soprattuto lo sperimentalismo estremo della title-track “Liminal” che ci propone quello che Franco Battiato declinava come “il silenzio del rumore (delle valvole a pressione…)”. Un disco che supera le misure dello spazio fisico in maniera subliminale dando una idea di cosmo che è effettivamente più ampia di quella di definizione astronomica.


DINO SPILUTTINI, “No Horizon”

Una vecchia conoscenza in casa Umor Rex (ha pubblicato un album in “coabitazione” con Nils Quark nel 2014, “Modular Anxiety”) Dino Spiluttini è un compositore austriaco e il cui cognome suggerisce evidenti ascendenze italiane e ingiustamente poco conosciuto anche dagli amanti del genere neo-classico e sperimentale, che è una buona ragione in più per parlare di questo lavoro, uscito tra l’altro in concomitanza con un’altra pubblicazione su No Rent Records (“Forever”). “No Horizon”, così come concepito dall’autore è un disco dai temi profondi e claustrofobici e che affronta una materia scottante e difficile da interpretrare, perché per molti e per la società costituisce in verità sempre un tabù e qualche cosa di cui nessuno parla e di cui si sa sempre troppo poco, cioè la depressione e come questa sia una specie di grande buco nero nel quale gli animi delle persone perdano ogni speranza e nessun anti-depressivo oppure cura sembra poterti salvare. Perché del resto non ci sono farmaci che possano tirarti su da tutto questo senza un profondo processo di psico-analisi. Registrato quindi con difficili considerazioni su questo stato e anche allo scopo curativo, il disco ha per forza di cose un carattere sensibile e tragico, è un disco fragile e sofferto e allo stesso tempo bellissimo. Si apre con una sessione di ambient cristallino, suoni che rimandano a un immaginario da “fortress of solitude” (“Average Angel”) e che fanno da introduzione a sessioni di musica neo-classica per pianoforte che si perdono rigirandosi dentro suoni sintetici che possiamo definire come rotative del tempo (“Healer”). Atmosfere crepuscolari e minimal (“Ruined World”) si condiscono di impianti neo-classici Philip Glass e sonorità Brian Eno (“No Horizon”), fino a una caratterizzazione cinematica nello stile di Sakamoto (“Permadeath”) e la struggente conclusiva “Endurance”, dove Spiluttini sembra suonare il piano come lacrime della pioggia al largo dei bastioni di Orione e mentre i raggi B balenano nel buio. Vicino alle porte di Tannhauser. Sembra quindi esserci poco spazio per la speranza, ma davanti a tanta bellezza è giusto pensare che forse valga ancora la pena di vivere e che non sia tempo di morire.


SLOWS, “Enormous Pause”

Matthew Simms è un musicista eclettico. Figura chiave nel progetto It Hugs Back con il quale ha rilasciato un pugno di pubblicazioni tra la fine dello scorso decennio e l’inizio di questo qui corrente, dal 2010 fa stabilmente parte del roster dei Wire, attività che si accompagna e musicista per altri artisti (tra questi: Bill Fay) e a progetti paralleli come UUUU (2017). Polistrumentista capace e visionario, interprete di una tradizione wave secondo lo stile Wire e quindi influenzata da onde cosmiche kraut, noise e componentistica astratta, Simms ha lavorato a questa pubblicazione in solitaria nel suo studio nelle campagne del Kent con l’ausilio di un organo elettrico e un sintetizzatore modulare. Il suo progetto si chiama “Slows” e il disco “Enormouse Pause”, inizialmente concepito come installazione sonora in occasione dell’apertura dei live di Tortoise e del duo Tomaga e secondo una metodologia di lavoro in gran parte ispirata a lavori di improvvisazione e come tale ispirato più a quello che possiamo definire come flusso di coscienza che speculazione. Per la prima volta al lavoro per una pubblicazione su cassetta (o in formato digitale, come le altre release del “pacchetto”), Simms compone due lunghe sessioni di circa quindici minuti, la prima più improntata a uno stile ambient, vivace e allo stesso tempo rumorosa, riproduce in qualche modo le suggestioni del paesaggio invernale del Kent, cui evidentemente rimanda nelle atmosfere più crepuscolari e nelle chiazze di colore che scintillano sintetiche sul tappeto del suono dell’organo; la seconda più minimalista e devota ai grandi compositori new age e più specificamente alla lezione più “alta” del kraut-rock e in linea con i lavori di Jim O’Rourke e la sua “Steamroom” series, un confronto e un parallelo che a Simms non potrà che fare piacere.


RAFAEL ANTON IRISARRI, “El ferrocarrill desvaneciente”

Se dovessi fare un solo nome tra i compositori minimalisti contemporanei non avrei dubbi: dico Rafael Anton Irisarri. Del resto è lui la figura di spicco del mondo Umor Rex e chi ha costruito questo ponte ideale tra Città del Messico e New York City che supera ogni barriera possibile nella linea di confine più discussa del mondo. “El ferrocarrill desvaneciente” è il suo terzo album su Umor Rex e la sua quinta pubblicazione in due anni, produzioni che lo hanno in breve tempo consacrato come un nome da tenere assolutamente sott’occhio oppure – meglio – a portata d’orecchio. Di base presso i suoi Black Knoll Studio a New York City, Irisarri qui si propone come un vero e proprio narratore, dice di ispirarsi a musicisti come Lee Hazlewood, Lou Reed oppure Leonard Cohen, superando quindi ogni possibile barriera di genere, dando alla musica il suo contenuto originario di “suono” e quindi di trasmissione di informazioni prodotte dall’essere umano e così espresse come surrogato oppure complemento oppure ancora sublimazione della lingua parlata, e effettivamente proponendo sonorità ambient suggestive che possono anche ricordare una delle ultime opere della più grande rockstar di tutti i tempi, l'”Hudson River Wind Meditations” (2007) che Lou aveva voluto come musica ambient strumentale da utilizzare durante i suoi esercizi di meditazione e per la pratica del tai-chi/tajiquan. Ma qui più che scorrere, le musiche si “srotolano” letteralmente innanzi ai nostri occhi in un continuum di susseguirsi di immagini e che poi è la rievocazione, una vera e propria ode (riecco la funzione storica del suono come delegato alla trasmissione delle informazioni e della cultura, secondo tradizioni antichissime e che ci rimandano ai poemi omerici come alle sacre scritture e fino agli usi e costumi delle popolazioni nomadi e che sono pratica ancora oggi), di un viaggio attraverso la Spagna in una notte di molti anni fa. Sulla scia dei suoi due precedenti album su Umor Rex, il tragico e post-apocalittico “The Shameless Years” e “Sirimiri”, come percorrendo le strade lungo i binari di un treno, il disco si compone di quattro tracce che costituiscono veri e propri cicli sonori (non a caso la pubblicazione è poi accompagnata da una traccia unica che le riprende in un format unico) registrati secondo una pratica modulare e combinando tra di loro loop e frammenti sonori, pulsazioni come alfabeto morse e che si sono allineate una con l’altra come parole, frasi, interi racconti, pezzi di vita.

(Emiliano D’Aniello)