A PLACE TO BURY STRANGERS, “Pinned” (Dead Oceans, 2018)

Oliver Ackermann, il leader e fondatore del gruppo di Brooklyn è un tizio relativamente fuori dal comune. Ok, in genere è una cosa che si può dire di chiunque campi suonando e viaggiando, all’incirca. Però lui in effetti è interessante per svariati motivi. Uno di questi è (o meglio era) “Death By Audio”, quel posto a Williamsburg in cui Ackermann produceva, testava e vendeva con spirito artigianale effetti e pedali. Quel posto nel tempo si era trasformato in circuito, collettivo, spazio per suonare, etichetta, insomma un sacco di cose finché è durato. E a ben vedere il cammino degli APTBS si è sviluppato abbastanza di pari passo: rumore, effetti, chitarre, tanti amici in giro.

Inoltre Ackermann, sotto le sopracciglia boschive, ha questo tratto da bambino che si diverte a smontare e incasinare. Prende una sequenza di accordi mediamente di facile intuizione e li insozza pesantemente con un’innocenza leggera. Sa poi trasformare il palco in una ludoteca senza regole apparenti. Dalla sua ha anche questo moto passionale (e, anche qui, infantile in senso nobile) dei fans nei suoi confronti. Razionalmente la cosa si spiega il giusto ma se lo si incrocia o se ci si trova nel suo raggio, quella è la più naturale delle reazioni. Il pubblico degli APTBS è trasversalmente coinvolto e appassionato.

Nella loro storia, il disco perfetto era arrivato quasi subito (“Exploding Head”, il secondo album del 2009) mentre quello più interlocutorio è probabilmente il penultimo “Transfixiation” (2015). “Transfixiation” è il lavoro, purtroppo, più monocorde e di maniera, sebbene sia anche il più “vicino” alla rumorosa e disturbante esperienza live del gruppo. “Exploding Head”, di contro è la materia di Ackermann espressa nel suo maggiore dinamismo, nel recupero ragionato di riferimenti pop, post-punk, oltre che naturalmente shoegaze. E “Pinned” si colloca esattamente da quelle parti lì. Perciò suona come una necessaria riverniciata di pareti un filo ingrigite e pisciate.

L’album si avvale di un nuovo ingresso alla batteria: stavolta c’è una fanciulla, Lia Simon Braswell. Un’aggiunta sorprendente e abbastanza determinante, verrebbe da dire.  Perché è anche grazie alla sua presenza nelle parti vocali e al suo drumming scarnificato, dark e un po’ primordiale che “Pinned” ha certe sfumature tra Siouxsie e i Cure di “The Hanging Garden”. Basti sentire “Too Tough To Kill”. E poi c’è un Ackermann davvero ispirato che stavolta sa giocare tanto con la saturazione caotica, quanto con la melodia pop più nitida (“Situations Changes”). A livello di suoni è probabilmente il disco più pulito del trio. Insomma, c’è un’aura goticheggiante, lineare, d’impatto immediato che combacia alla perfezione con i detriti del suono frammentato degli APTBS. Frammenti , appunto, di Jesus And Mary Chain, My Bloody Valentine, Suicide, Joy Division che stavolta emergono in superficie, riconoscibili e intatti (“There’s Only One Of Us“). In definitiva”Pinned” è un po’ meno omogeneo di altri capitoli ma non per questo è poi meno aspro. Dal vivo, c’è da giocarsi tutto, sarà il consueto, onesto massacro.

E continuo a pensare ad Ackermann la volta che suonò a Castellina Marittima nell’ambito dell’ottimo “Musica W”. Era il 2011 e il suo viso, dopo che ebbe spaccato mezza strumentazione, si illuminò a giorno, incantato al placido passaggio di un preservativo gonfiato di aria. Ditemi ora se non è adorabile. In “Pinned” c’è la canzone che più si avvicina al successo quasi mainstream che fu di “Keep Slipping Away” nel 2009. Questa si chiama “Keep Movin’ On” e, leggermente più torporosa, arriva di soppiatto in fondo al disco. Dispettoso anche solo per il fatto di averla nascosta lì.

80/100

(Marco Bachini=