IDLES, “Brutalism” (Balley Records, 2017)

Dopo gli Sleaford Mods un altro dei gruppi più incazzati e che trattano di tematiche sociali a ‘sfondare’ arriva ancora dalla cara vecchia Inghilterra. Specificamente dalla città di Bristol nel Sud Ovest delle terre di Albione. Qualche cosa che chiaramente non è casuale considerando la situazione politica e sociale attuale nel Regno Unito, un contesto molto particolare e reso ancora più confusionario dopo i fatti della cosiddetta ‘Brexit’, che ha spinto al massimo ogni contraddizione possibile finché tutto alla fine probabilmente esploderà come una vera bolla in faccia a sua maestà, la regina Elisabetta II.

Gli Idles, già prima della pubblicazione di ‘Brutalism’, uscito lo scorso marzo via Balley Records, si erano fatti conoscere e avevano ottenuto una certa attenzione mediatica oltre che per la loro musica, in virtà di affermazioni sopra le righe e in particolare comportamenti e atteggiamenti eccentrici, financo estremi e spesso volutamente esagerati. Tanto che qualcuno ha voluto parlare nel loro caso poi di un fenomeno soprattutto mediatico, definizione secondo me vera solo in parte, perché le loro canzoni sono poi effettivamente cariche di contenuti e di dichiarazioni nette, prese di posizioni forti e soprattutto il disco nel suo complesso è una vera bomba.

Il sound post-hardcore della band capitanata da Jon Talbot, per quanto possa apparire originale, esso è in verità la giusta e naturale conseguenza per quella che è la storia della musica alternative nel Regno Unito a particolare dal punk e poi per gli sviluppi negli anni ottanta per quello che riguarda il ruolo di una band centrale come i Fall di Mark E. Smith e fino al breakbeat e alla cultura rave esplosa negli anni novanta e in particolare agli atteggiamenti sopra le righe dei Prodigy di Liam Howlett, il rapper Maxim e quella scheggia impazzita di nome Keith Flint.

Il disco è carico di quelle che possiamo definire vere e proprie invettive nei confronti della classe dirigente conservatrice, la manifestazione attraverso degli slogan di quello che si può considerare il disagio di chi vive e si sente ai margini della società. Il sound è conseguentemente una carica di adrenalina e di aggressività punk e post-hardcore (‘Heel’, ‘Mother’, ‘Date Night’, ‘Rachel Khoo’, ‘Exeter’…) con dei giri vorticosi di basso che ricordano un altro filone della musica new-wave dedito a sonorità più oscure e complesse ‘1049 Gotho’, ‘Benzocaine’.

Non manca tuttavia all’interno di questo disco una certa ironia (‘Well Done’, ‘Faith In The City’, ‘Stendhal Syndrome’) che è pungente ma che allo stesso tempo maschera anche un certo nichilismo che poi è effettivamente una espressione di un certo punk che non è mai diventato veramente manifestazione di dissenso (come invece ad esempio nel caso dei Clash) ma solo espressione di disagio. È evidente che anche in questo caso, davanti a un disco sicuramente esplosivo e che costituisce un grande esordio, la crescita degli Idles nel futuro non potrà che prescindere da ampliare i propri orizzonti e superare questi limiti storici che già hanno frenato la crescita di molte altre band nel passato.

Emiliano D’Aniello

79/100