La Top 7 delle migliori canzoni dei The National


Per onorare al meglio il National Day qui a Kalporz, abbiamo pensato di ripercorre le loro canzoni alla ricerca della Top 7 perfetta… beh, o quasi.

7. “90-mile Water Wall” (da “Sad Songs for Dirty Lovers”, 2003)

Una di quelle ballate folk che non lasciano scampo, dal piglio malinconico ed immerso nei più profondi States, semplice ma dall’intensità emotiva crescente, con quel violino da brividi che marca la parte finale della canzone come lama di coltello. La chitarra acustica ha un andamento inesorabile, come è inesorabile l’immagine delle cascate alte 90 miglia (144 km), una visione in bilico tra l’impossibile e l’estenuante. E se la lirica finisce ad essere criptica come quasi sempre sono i testi di Berninger, non importa che la canzone parli di un amore non corrisposto o di un cortocirtuito di personalità, l’ambientazione sonora e quel distratto finale “Yes I’m listening / I can tell you’re serious” paiono solo riportarci ad una realtà che non vogliamo e che non possiamo cambiare.

(Paolo Bardelli)

6.”I Should Live In Salt” (da “Trouble Will Find Me”, 2013)

“I Should Live In Salt” è la prima canzone di quello che reputo l’album più adulto dei The National. Quello in cui Matt Berninger mette in luce un lirismo quanto mai consapevole e maturo, capace di tratteggiare alla perfezione emozioni e sentimenti che hanno a che fare con la consapevolezza dello scorrere del tempo, e di tutto quello che il tempo porta via con sé. Ad esempio, i rimorsi. La storia di “I Should Live In Salt” racconta del ricongiungersi dei due fratelli Berninger, rimasti lontani per anni, e del rimorso che uno dei due prova per non essere stato vicino all’altro per così tanto tempo. Matt e Tom, che dopo una vita si ritrovano, finalmente, ognuno con la propria vita: Matt frontman di una delle band più importanti del mondo, Tom regista tra le altre cose anche di quello che diventerà un manifesto visivo della band del fratello, il documentario “Mistaken For Strangers”. Una bella storia.

(Enrico Stradi)

5. “Slow Show” (da “Boxer”, 2007)

C’è un momento, nel mezzo di tutto “Boxer”, in cui i The National raggiungono l’apice della loro potenza lirica e musicale. Quel momento è quando parte “Slow Show”. “Slow Show” è almeno per me il manifesto musicale di Matt Berninger e soci, un gioiello in cui le densità emotive dei testi illustrano il concetto di “intimità” in un modo che non riesco a ricordare più efficace di così. Quali sono i ricordi più preziosi che conserviamo nella nostra scatola segreta? Con chi balliamo abbracciati in salotto? Chi conosce i nostri errori peggiori? Quali sono i sorrisi che ci illuminano il buio quando le tapparelle sono abbassate? Con chi ci diverte perdere tempo in modo incomprensibilmente inutile e così divertente? “Slow Show” ci racconta le risposte a queste domande.

(Enrico Stradi)

4.”Lemonworld” (da “High Violet”, 2010)

“Lemonworld” come metafora dei The National. Ok, l’idea non è mia ma di Nicholas Davidoff che qualche anno fa aveva minuziosamente spiegato sul NYTimes quanto sia stata travagliata la storia di questa bellissima canzone creando un parallelismo con la scalata al successo del gruppo stesso.

Il brano riesce a dare l’idea di quanto sia difficile trovare un proprio “Lemonworld”. Che cos’è un Lemonworld? è semplicemente un posto dove fuggire dalla realtà e alla fine il nostro The National Day è anche questo un modo per scappare, evadere da tutto ciò che state facendo, anche perché è settembre e sicuramente state già lavorando.
Probabilmente il brano non è il più bello tra quelli registrati dai The National, ma certamente uno dei più simbolici e noi, come i cittadini di Gotham, abbiamo bisogno di un emblema per combattere gli ultimi stralci dei tormentoni estivi che ci hanno perseguitato in estate.

(Gianluigi Marsibilio)

3. “Squalor Victoria” (da “Boxer”, 2007)

Matt Berninger riesce in “Boxer” come poche altre voci contemporanee a dare voce e a raccontare a quel senso di insopportabile inadeguatezza rispetto alla propria condizione lavorativa e allo status sociale che ne consegue. È uno dei temi classici e ricorrenti della letteratura e della cinematografia della Generazione X o più in generale di fine anni Novanta. Matt ha più di trentacinque anni quando esce il disco che rende The National un nome finalmente di ampia portata. Un’altra generazione e altre tendenze e visioni, rispetto agli autori della florida scena “artsy” della Brooklyn del primo decennio del nuovo secolo. E “Squalor Victoria”, con quelle atmosfere notturne, adulte e dimesse, senza riferimenti letterali, allegorie o parole troppo ricercate (ad eccezione della parola “vittoria” presa dal latino) parla dell’alcol come via di fuga alla routine del “white collar”. Un motivo come gli altri “per alzare al cielo quei calici celestiali” in un brindisi che suona amaro e beffardo.

(Piero Merola)

2.”Mr. November” (da “Alligator”, 2005)

“Mr. November”, pur non essendo un singolo, è diventato uno dei brani più importanti dei National, uno dei tanti manifesti musicali del gruppo. È anche una delle canzoni che mi ha fatto cogliere la carica emotiva che i National riescono ad avere su un palco.
“Mr. November” è quel brano che quando arriva durante i live della band di Cincinnati diventa il classico pezzo da “brivido lungo la schiena”, un momento catartico di circa quattro minuti che cattura contemporaneamente il pubblico e il gruppo stesso.

(Francesco Melis)

1. “Terrible Love” (da “High Violet”, 2010)

“It’s a terrible love and I’m walking with spiders, It’s a terrible love and I’m walking in”: è così che inizia Terrible Love, brano d’apertura di High Violet, l’album dell’affermazione e in assoluto il più celebrato della band, nonché da molti considerato il miglior album indie-rock del 2010. La canzone, piena di pathos e angoscia in perfetto stile The National, descrive la sensazione del sentirsi completamente schiacciati ed inermi di fronte a quello che è il sentimento dell’amore inteso in senso lato, un amore che è terribile, che porta alla totale sopraffazione fino a togliere il sonno e far rabbrividire le ossa. And I can’t fall asleep without a little help, It takes a while to settle down my shivered bones”, canta Berninger.

Densa e drammatica, la canzone si sviluppa vorticosamente attorno ai riff di una chitarra cupa, distorta, il cui suono compresso e riverberato nasce dalle sperimentazioni “artigianali” con l’amplificatore e riporta alla mente certi muri sonori shoegaze. In realtà,  esistono due versioni di Terrible Love, una originale e una alternate version che si trova nella versione estesa dell’album, entrambe molto amate e spesso oggetto di discussioni infinite tra i fan più accaniti su quale sia la migliore.La prima ruota intorno al suono potente, sporco e malinconico delle chitarre, permettendo a chi ascolta di focalizzarsi sulle lyrics, perlomeno prima dello strabordante climax finale. Nella seconda, la preferita di chi scrive, arrangiamenti orchestrali pomposi sono accompagnati da una batteria solida e ordinata, che assume un ruolo decisivo e rende la canzone a tratti più semplice e meno cupa. La voce di Berninger suona trionfante in questa versione.

(Virginia Tirelli)