Way Out West 2017, Göteborg (day 3)

Puntualmente, nella città della Svezia in cui in media piove un giorno su tre, il sabato che chiude l’undicesima edizione del Way Out West, è attraversato da nubi che presto sfoceranno nella classica pioggia “inglese” assai frequente su queste latitudini. Il 12 agosto è in tono un po’ minore, rispetto all’intenso cartellone delle prime due giornate. Ciò consente di godersi, pioggia a parte, l’atmosfera unica del festival, tra i vari stand vegetariani e vegani, unico cibo ammesso dallo staff che ha una coscienza spiccatamente ambientalista e animalista nonostante la sua dimensione e il suo budget tutt’altro che underground. Una nuova area lounge è stata aperta dalle parti dello spazio Dungen, il palco elettronico, tra i primi a popolarsi oggi per ballare sulla malcapitata Malin Wester, tutt’altro che delicata e già finita su NTS Radio, cui tocca smuovere la gente dalle 12 alle 14. Il dj della giovane svedese lambisce momenti gabbar, ondeggia su momenti techno ostici ma utili davvero a risvegliarsi. Una tutt’altro che variopinta schiera di ragazzini intanto si raduna da queste parti in attesa del loro idolo del pomeriggio. Yung Sherman, producer, collaboratore e compare del rapper di Stoccolma Yung Lean nella label/collettivo Sad Boys, si aggancia alla mitica “Children” di Robert Miles, lasciata in chiusura dalla Wester, per poi avventurarsi in un’ora di instrumental hip hop, digressioni cloud, momenti electro più acidi e introspezioni ambientali. Prima di rimettere su il classico del re della trance scomparso quest’anno, per lasciare spazio al norvegese Cashmere Cat, un altro tra i nomi più in voga nella scena elettronica mainstream che strizza l’occhio un po’ al nuovo filone dancehall sperimentale e all’alternative R&B.









Come si evince da queste prime due ore di festival, sotto questa leggera pioggia purificatrice, la scelta è tra palco elettronico e una serie di act molto cantautorali. Nei main stage si alternano infatti Eva Dahlgren, Linnea Henriksson tra le artiste svedesi, e poi Lisa Hannigan, George Ezra e il sempre presente Conor Oberst (fin dai tempi di Bright Eyes) tra i nomi internazionali. La pioggia insomma aiuta a rendere il tutto più romantico e cinematografico, oppure un po’ più delirante dove la gente cerca di ballare e sballarsi, nonostante i prezzi dei cocktail non aiutino. Sotto al tendone, unico spazio coperto, ci prova Tycho a ridestare un po’ tutti dal torpore di questo pomeriggio rilassato e rilassante. La chillwave è passata da un tempo, le variazioni house e IDM giovano alla causa, e il suo set scorre via senza intoppi. Dopo di lui, tocca a un’altra artista che aveva dato lustro alla scena svedese d’esportazione degli anni Zero. La magnetica Frida Hyvönen nel frattempo ha abbandonato l’inglese, canta solo in svedese, ma, almeno da queste parti, continua a spopolare. Con il rumore della pioggia di sottofondo riesce a stregare tutti, senza distinzioni di età. Così come il soul di Oskar Linnros, già parte del progetto alternative hip hop degli Snook insieme a Daniel Adams-Ray, che qui sembra davvero un’istituzione, almeno a giudicare dai chorus che si scatenano tra i tenaci seguaci che affrontano un mezzo diluvio per goderselo tra le prime file del palco Flamingo. Tra un passaggio e l’altro nella confortevole Press Area, solito edificio a due piani, dotato di ogni comfort, ci si imbatte nel redivivo Dennis Lyxzén, frontman degli indimenticati Refused, oggi impegnato negli INVSN, presenti in uno degli spettacolo dello Stay Out West. Eccolo, immortalato in una polaroid.








La pioggia si fa insistente e in uno dei main stage tocca a un altro dei nomi più attesi della giornata, perfetto per quest’atmosfera molto cinematografica e autunnale. I London Grammar colpiscono molto per la personalità e la voce ammaliante di Hannah Reid. Il colpo d’occhio, con una folla silenziosa fatta di impermeabili colorati, lascia senza fiato. Secondo le previsioni dovrebbe smettere in serata, ma c’è ancora tempo per qualche brusco cambio d’atmosfera. Al Dungen, il producer olandese Fatima Yamaha crea una discreta bolgia con la sua elettronica analogica dal retrogusto italo, perfetta per accontentare tutti. Si balla sotto la pioggia, senza paura. Sui main stage, la prima e unica sferzata rock della serata arriva con gli attesissimi Band Of Horses, che oltre a ricordarci di quanto negli Anni Zero fossero tornate di moda le camicie a quadri, regalano un set d’annata, ad altissimo impatto emotivo, fatto di esplosioni emo e lezioni di indie rock americano. “For Annabelle”, “Casual Party”, “Islands On The Coast, fino all’anthem “The Funeral”. Tutto molto emozionante, in questo scenario grigio e crepuscolare.









Si ritorna subito sulla musica d’autore che ammicca al pop con le due artiste che chiudono la programmazione ufficiale del parco. Regina Spektor suona forse troppo tardi, dopo una giornata così soft, ma la sua classe è inappellabile. Voce, piano e poco altro, per un set molto lungo di una ventina di brani che tocca il meglio della sua lunga carriera. L’entusiasmo dei più giovani si accende quando parte il theme della serie “Orange Is The New Black”, “You’ve Got Time”, ma “Folding Chair”, “Eet”, “The Calculation”, “Dance Anthem of the 80s” da “Far” mettono subito l’esibizione sui binari giusti, fino ad “Us”, “Hotel Song” e altri classici.





Non dev’essere facilissimo per nessuno esibirsi dopo un’artista di questo calibro. Ancora meno facile dovrebbe essere per una delle artiste che più hanno diviso critica e appassionati negli ultimi anni, per un’immagine e un hype che spesso ha offuscato la discussione sulla sostanza e il valore intrinseco delle sue produzioni. Lana Del Rey, attesa da giovanissimi fan asserragliati davanti alle transenne del palco Flamingo, nonostante il maltempo, dalle prime ore del pomeriggio. Il nuovo album di Elizabeth Grant, quinto della sua breve e intensa carriera, “Lust For Life”, ha messo nuovamente in luce il suo talento, e non solo la sua immagine di icona del nostro tempo. Il live non è affatto incentrato su questo disco, ricco di guest e collaborazioni, ma è una sorta di greatest hits dove la trentaduenne cresciuta a New York, accompagnata da una solida band da indie rock d’autore e dalle preziosissime coriste, ripercorre tutte le sue hit. Le sinuose “Blue Jeans” e “Born To Die” creano quasi scene di panico. Convincono le nuove “Cherry”, “White Mustang”, “Change” e soprattutto “Love” anche grazie a una performance vocale semplice, senza strappi ed eccessi che allontana il rischio di quelle esibizioni non proprio brillanti che avevano scatenato critiche e malelingue nei primi mesi della sua ascesa planetaria. Qualcuno ha scritto che lo Xanax sta cambiando la musica mainstream a stelle e strisce, qualcun altro l’ha definita la Morrissey americana. Difficile dirlo, ma Lana Del Rey non sembra meritare le critiche, legate già che altro alla sua estetica e alle sue dichiarazioni, troppo ingenerosamente riservategli. Bisogna ammettere che è davvero difficile trovare altre sue colleghe in grado di regalare in sette anni, una serie di singoli come “Video Games”, “Ultraviolence” o “Summertime Sadness” che chiude, insieme a “Off The Races”, il set con una malinconia di quelle che piacciono molto a lei, e ai suoi fan. Non accetta scatti, se non a distanza dal mixer, salvo poi abbracciare e fare selfie i fan della transenna.







Un arrivederci perfetto dall’umida serata del parco Slottskogen.
A qualche chilometro da lì c’è la solita carrellata di artisti emergenti nordeuropei (ma non solo) che accompagnano nomi un po’ più grossi nello spazio Bananpiren: le giovani svedesi Rhys, d’adozione, e Léon, originale, come portabandiera del pop fresco e moderno che va da queste parti, Ary come contraltare norvegese. Ci si perde Säkert per le code all’ingresso, ma gli Shout Out Louds, con un set, anche in questo caso, molto da festival e da grandi classici, tornano a ricordarci di quella golden age della Svezia dello scorso decennio, che vi raccontavamo con la nostra rubrica speciale Ikea-Pop. Phlake e il duo danese Mwuana, in chiusura, ci riportano traumaticamente nella realtà, con quelle sonorità black e hip hop che sembrano davvero prevalere su tutto il resto, nel festival e come proposte d’esportazione degli ultimi anni.

La Svezia non guarda mai indietro.

Foto di Chiara Viola Donati (Instagram: @chiaraviolenta)

Guarda il report day 1 e day 2.