JAPANESE BREAKFAST, “Soft Sounds From Another Planet” (Dead Oceans, 2017)

La mattina ti svegli ed è luglio, forse agosto. Come al solito in provincia rischia di venire giù una pioggia assurda, non sai che fare. Ti scrivono su Whatsapp e forse non è il caso di partire per il mare. Alla fine dopo il caffè, anche se della discussione sui quei 1001 gruppi hai capito poco, decidi di restare a casa, magari a sentire un disco come: “Soft Sound For Another Planet” di Japanese Breakfast.

Dal primo accordo totalmente estraniante e straziante del lavoro, io rimango zitto, fermo, anche il caffè smette di fumare. C’è un’altra dimensione che la Zauner ha perfettamente centrato e aperto con i suoi suoni e le sue ritmiche. La sua delicatezza, anche nelle malinconie e in storie deprimenti, ricorda Björk, con però delle radici più punk.
Atmosfere shoegaze intinte dal dream pop costeggiano uno dei dischi più riusciti dell’anno, un vero colpo per la giovane Michelle Zauner che, dopo una serie di lavori poco considerati, è riuscita ad entrare in una specie di olimpo, sarà anche grazie a quell’uso di autotune in pezzi come Machinist, che la rendono una vera interprete del contemporaneo.
Non a caso per entrare a gamba tesa nel suo stesso disco è stato proprio questo il singolo di lancio del lavoro, definito dall’artista un concept album fallito.
Sono arrivato a “Planetary Ambience”, nel momento in cui post sveglia e Italian breakfast, devi assolutamente correre verso un bagno. Non c’è stata mai una colonna sonora più adatta al momento: questa canzone delicata, ma allo stesso tempo profonda nei suoni, ha reso il mio “viaggio” una vera lotta epica.

Per capire al meglio questo progetto l’ascolto assolutamente consigliato è quello del brano omonimo che ha dato il titolo al lavoro: ci si trova infatti tutta una serie di sfumature talmente delicate che in cuffia sembra venir fuori non una voce, ma il respiro della Zauner.
La sensazione nell’ascoltare i pezzi di “Soft Sound for Another Planet” è quella di trovarsi davanti una serie di sogni smarriti, segreti buttati su un diario o scritti sulle pareti di un autogrill. La Zauner e le sue canzoni mi sembra di ritrovarle in una frase di Mo Yan: “Scrivo poesie. Di nascosto, però. Dai lettori. Da tutti. Scrivere versi è come cantare sotto la doccia. Un fatto intimo. Non so se pubblicherò mai le mie poesie”. Lei ha scritto un disco, probabilmente di nascosto che con i pedali fuzz e una serie di interminabili monologhi sintetizzati ha trovato l’essenza di un’Italian-breakfast, la mia, e spero di altre centinaia di migliaia di persone.

87/100

(Gianluigi Marsibilio)