CLARK, “Death Peak” (Warp Records, 2017)

Il nome di battesimo del nuovo capitolo dell’elettronica post-umana targata Clark non lascia presagire nulla di buono, oscurità, misticismo, baratro esistenziale; tuttavia, l’inganno è dietro l’angolo, infatti “Death Peak” è un caleidoscopio di sensazioni, colpi di frusta si alternano a calmanti epidermici, che per esplicita ammissione dello stesso producer britannico trovano sfogo in un mantra vocale che da tempo ruotava nella sua sfera interiore e che sin ad ora aveva segretamente nascosto.

Chris Clark, per chi ancora non lo sapesse, è un produttore visionario di matrice britannica di difficilissimo inquadramento stilistico, punta di diamante della Warp Records; Death Peak è il suo nono album sulla lunga distanza che arriva a distanza di un anno dalla soundtrack per la tv series “The Last Panthers”, a due, invece, dall’omonimo album “Clark” uscito sempre su Warp.

L’apertura è affidata a “Spring But Dark”, un cupo lamento ancestrale, perfetto riscaldamento, “Butterfly Prowler”, ipnosi incalzante, volano oggetti misteriosi, si plana poi su “Peak Magnetic”, un cortocircuito che si schianta su un basso ruvido che rovina la pelle, il clima a questo punto diventa infernale con “Hoova” una danza demoniaca, implacabile, “Slap Drones” percorre lo stesso percorso ma con meno decisione.

Arriva, puntuale, una pausa rigenerativa con “Aftermath”, preludio a l’ennesima prova di forza Clarkiana, “Catastrophe Anthem”, un viaggio autosufficiente, immaginifico, ultraterreno, completo, spirito e corpo si fondono definitivamente in “Living Fantasy”, l’epilogo è “Un U.K.”, un riassunto di mondi diversi impossibile da decifrare e, dunque, ennesima pagina sonora a cura di Clark totalmente inafferabile.

“Death Peak” è un oggetto volante indecifrabile, quindi, per provare a delineare la sua forma è consigliabile recarsi al più vicino osservatorio astronomico.

90/100

(Matteo Mastracci)