SPOON, “Hot Thoughts” (Matador, 2017)

Dopo tre anni di silenzio, gli Spoon tornano con Hot Thoughts, appena pubblicato con l’etichetta Matador, con la quale avevano già pubblicato il loro EP d’esordio Telephono. La band originaria di Austin è considerata una vera e propria istituzione nel continente a stelle e strisce, nonostante in Europa non sia mai riuscita ad andare oltre un modesto numero di seguaci che, malgrado il loro progressivo aumento di notorietà (anche grazie alla partecipazione a varie colonne sonore, su tutte il teenage-drama The O.C.), è rimasto pressoché invariato fin dall’epoca di “Kill the Moonlight”, probabilmente il loro capolavoro definitivo.
“Hot Thoughts” si mantiene su livelli molto buoni, dicevamo, innanzitutto perché Britt Daniel e Jim Eno ci hanno sempre abituato benissimo in questi anni, mostrando in ogni loro lavoro una capacità compositiva a dir poco imbarazzante. È sorprendente infatti la facilità con cui riescono a tirar fuori dei brani efficaci, con pattern ritmici e melodici essenziali ma mai banali, una cura ossessiva per gli arrangiamenti, il tutto senza mai strafare, senza mai uscire dal canone sonoro e strumentale della band rock. Certo, ci sono state le stanche e non del tutto convincenti performances di “Ga Ga Ga Ga Ga” (2007) e “Transference” (2009), dove i texani, pur conquistando la top ten nelle classifiche di vendita, sembravano in qualche modo incapaci di andare oltre una formula collaudata ma ormai per niente nuova. Ma già con “They want my soul” (2014) hanno mostrato di aver recuperato l’originalità compositiva dei tempi migliori (non si tira fuori una canzone come “Inside Out” per puro caso, insomma), unita a dei piccoli segni di rinnovamento del loro sound con sempre maggiori innesti elettronici nelle loro trame melodiche.
“Hot Thoughts” (la cui produzione è affidata alle sapienti mani di Dave Fridmann, già accanto alla band con “They want my soul”) completa questo percorso. Innanzitutto perché il peso specifico dell’elettronica all’interno dell’album aumenta notevolmente, pur senza stravolgere l’anima rock della band, sempre abile nel tirar fuori brani incisivi e con la giusta punch-line per essere orecchiabili senza essere banali; in secondo luogo perché per la prima volta non sentiremo mai il suono di una chitarra acustica, marchio di fabbrica dei loro lavori precedenti.

Il risultato è decisamente positivo, e pur tuttavia di difficile definizione. Già dalla title track iniziale si intuisce come l’album sia un mix riuscito di sonorità funk e di ritmiche che richiamano alla dance music, con la presenza sbarazzina delle chitarre elettriche che ben si amalgamano con le textures elettroniche dei sintetizzatori. Ma quel che immediatamente si nota è la voglia, da parte della band, di divertirsi a giocare con la storia del rock and roll, a smontarlo e rimontarlo, plasmandolo dal punto di vista sonoro, mescolando le carte. “Do I have to talk you into it”, uno dei pezzi migliori dell’album, sembra Kashmere dei Led Zeppelin rivisitata dai Pulp: si regge tutta su un riff insistente e cadenzato della tastiera, e gli innesti caotici, acidi e tuttavia armoniosi delle chitarre contribuiscono a sostenerla nel flow e nell’incisività. Flow e incisività che vengono confermate anche nelle successive “First Caress” e “Pink Up”, che si muovono verso ambientazioni decisamente più dance rock. Non mancano aperture R’n’B (“Can I sit next to you”, “Tear it down”) così come ballad “I ain’t the one”, lisergica e minimale, dove la voce mai sfiorita e sempre fresca dell’over-quaranta Daniel viene accompagnata dalla drum machine minimale e decisa di Eno.
A chiudere una suite “jazzy”, “Us”, che riprende il tema melodico della title-track, creando atmosfere crepuscolari, e aggiungendo un sax e delle campane.
È un album adulto “Hot Thoughts”, che si candida decisamente ad essere uno dei migliori lavori di questo 2017 musicale. Gli Spoon giungono alla loro maturità artistica e ritrovano la freschezza e la limpidezza dei loro tempi migliori aggiornando il loro sound con modificazioni minime e abilmente dosate, senza stravolgere una formula ben collaudata che negli anni – pur senza inventare niente di nuovo – è stata capace di sfornare davvero tanti pezzoni.

80/100

(Gianpaolo Cherchi)