“Ritornello al futuro”, gli zombies musicali di Miraglia

miragliaChi sia Gianni Miraglia è una domanda che non siete autorizzati a farvi. Semplicemente perché è l’essere umano più Rock and Roll che esiste al di fuori del mondo musicale italiano. Non starò perciò a dirvi che dopo aver perso il lavoro da pubblicitario, è diventato uno dei performers più intelligenti e irriverenti di internet e del mondo reale; non vi dirò che è stato il protagonista del programma surreale di DMAX “Mandatemi a quel paese”, e nemmeno che ha una passione smisurata per i Fat White Family, tanto da tatuarsi addosso il loro nome…
Quel che vi dirò è che è appena uscito il suo nuovo romanzo, “Ritornello al futuro” (Baldini & Castoldi, 152 pp. 14€) in cui, manco a dirlo, c’è tanta musica. Il libro racconta la storia di Luigi Tenco (meglio del suo zombie), che una sera guardando alla TV una premiazione del Premio dedicato al suo nome, scopre per caso quel video in cui Sid Vicious canta “My Way” all’Olympia di Parigi mentre spara al pubblico di vecchi pinguini incravattati. È proprio qui che inizia la storia. Luigi Tenco (o meglio, sempre il suo zombie) decide di diventare punk, di formare una band, partecipare a Sanremo e fare quello che avrebbe dovuto fare quella sera di gennaio del 1967: farli fuori tutti quei bastardi. «Sarà come la vita che ricomincia».
Ci vuole poco a radunare tutti i martiri del rock and roll. O meglio tutti i loro zombies. Si, perché l’Italia è un paese in cui i veri morti sono i vivi, queste creature opulente attratte da tanta, troppa modernità catodica, che fagocitano uomini per collezionare simboli. I vivi difficilmente accettano di essere nati per perdere. Ed è così che assieme a Sid Vicious, Tenco ingaggia anche gli zombies di Ian Curtis, di Kurt Cobain, di uno dei Ramones che non si riesce bene a distinguere dagli altri della band «per via di quei caschetti tutti uguali e dei loro nomi brevi, Johnny, Marky, Billy, Willy, Ziggy»; c’è anche Johnny Thunders, quello di Born to Lose, giusto per rendere chiaro il concetto. Sono loro che dovranno formare una band punk e andare a Sanremo per riprendersi la loro rivincita sul mondo dei vivi.

La trama surreale però serve solo da contorno. I Dead Pertini (nome che Tenco e i suoi danno alla loro band, ma che in realtà è un progetto musicale reale di Miraglia), poi diventati Sanremones per non compiere un atto di vilipendio al presidente con la pipa, portano avanti la loro opera di nichilistaggio con il rapimento della Pausini: i suoi dischi di Platino venduti in Sudamerica al grido di “La tengo como todas” sono un target perfetto per Sanremo. Lei che è la positività in persona, è veramente ciò che serve per arrivare a vincere, soprattutto perché a differenza di tutti gli altri non si sarebbe mai uccisa. La sua voce resa bella dalla post-produzione, che non sgarra mai, incarna perfettamente quella «mediocrità che va per la maggiore, finalizzata all’immedesimazione dell’ascoltatore che sta guidando, sta facendo da mangiare o si masturba». Impossibile non ingaggiarla subito. Così come Claudio Cecchetto, l’inventore degli anni Ottanta, gli eterni anni di stagnazione della cultura italiana, quello che ha inventato la melodia eterna del Gioca-Jouer, e che appositamente per Sanremo suggerirà ai Dead Pertinis l’idea di una canzone che manda la base del Gioca-Jouer al contrario, il Jouer-Gioca, «ché questo è un paese che preferisce il passato».
Si aggregano alla comitiva anche Gino Strada, che di zombie e di disperati se ne intende, e persino Gasparri, che abbandona gli abiti della politica e diventa punk con il nome d’arte di Billy Laido, sfoderando un cantato grunge alla Mark Lanegan. C’è spazio anche per una storia d’amore impossibile, nata per un errore di digitazione su internet, fra Tenco e Dalila di Lazzaro: lui che cercava su internet notizie su Dalida, ma che sbaglia nella digitazione e confonde i nomi, innamorandosi della femme fatale di Udine, bella e disperata pure lei.

Insomma, più che un romanzo il libro di Miraglia è una centrifuga, un frullatore impazzito e fuori controllo. Dietro all’irriverenza punk si nasconde un cuore fragile, una nudità e una purezza che sono semplici e dirette. Perché semplice e diretto è anche l’uomo, che alla fine dal punk non si distingue poi tanto: tre accordi, e tanta voglia di libertà.

(Gianpaolo Cherchi)