JAMES BLAKE, “The Colour In Anything” (Universal, 2016)

jamesblakeJames Blake sta lavorando al nuovo disco. James Blake sta lavorando al nuovo disco con Frank Ocean. James Blake ha fatto sentire trenta secondi di una nuova canzone alla BBC. James Blake compare nel nuovo disco di Beyoncé. James Blake ha inciso un pezzo con Bon Iver. James Blake ha tappezzato una strada con l’artwork del nuovo disco. James Blake farà uscire il disco all’improvviso questa notte a mezzanotte.
Sono stati tre anni densi di spifferate, assaggi, attesa crescente, e finalmente il successore dell’osannato “Overgrown” è arrivato: è questo “The Colour In Anything” che coi suoi diciassette pezzi per settantasei minuti di musica totali sembra voler accontentare tutte le smanie del caso e fare tutti contenti Ci riesce? Lo scriviamo subito: no.

Per presentare questo nuovo lavoro di Blake è bene partire dal precedente “Overgrown”: nonostante “The Colour In Anything” faccia di tutto per prendere le distanze dal suo predecessore, è proprio da lì che prende vita. In particolare, dalla lezione di Brian Eno, che di quel disco fu il produttore: “sono affascinato dai musicisti che non comprendono completamente il loro territorio; quando ciò accade si ottiene il lavoro migliore”. “The Colour In Anything” non è infatti un disco nato per accontentare l’ascoltatore, non è un disco consolatorio. Anzi, richiede un impegno non indifferente per essere compreso: inafferrabile, evanescente, che spazia tra i generi e le sonorità, che prova ad esplorare nuovi territori, ad affrontare nuove sfide sonore.

Prima fra tutte, quella di continuare a cantare di sentimenti e di emozioni pur cambiando voce e sound: un cantato che si fa via via meno umano, via via più metallico, e allo stesso tempo una pulizia profonda dei tappeti elettronici, che qui suonano più che mai asettici, robotici, disantropomorfizzati. “The Colour In Anything” esprime più e meglio che i lavori precedenti l’intento di Blake di lavorare sui silenzi, sulle pause, sulle attese: ma se quei momenti di vuoto in passato servivano a scaldare le incursioni improvvise di loop elettronici e voce new-soul, in questo lavoro servono esprimere al massimo la temperatura gelida delle trame di synth e delle armonie vocali. Qualche momento di calore umano c’è, e si fa apprezzare anche più del dovuto: “f.o.r.e.v.e.r.” non è certamente al livello di altri suoi brani scaldacuore, ma in questo disco si prende qualche merito di troppo; sullo stesso mood sono costruite anche “Waves Know Shores”, la title-track “The Colour In Anything”, e il brano cantato insieme a Justin Vernon aka Bon Iver “I Need A Forest Fire”. Ma fatta eccezione per questi brani, il resto è di di fatto un sound deumanizzato che strizza l’occhio alle sia tendenze black già presenti nel disco precedente, sia alle tessiture electro-dub recentemente espresse nella loro massima potenza da FKA Twigs: sono brani come “Points”, “Timeless”, “Put That Aways And Talk To Me”, “I Hope My Life”, “Modern Soul” e “Meet You In The Maze” a mettere in chiaro in maniera definitiva il concetto che la voce per Blake è al servizio del suono, e non viceversa. E questo per lui è un territorio nuovo: la voce che in passato era capace anche da sola di scaldare i cuori al primo istante (come in “Retrograde”, “Life Round Here” e “Overgrown” e altri pezzoni dell’album precedente), qui perde quasi tutta la sua dimensione umana per mescolarsi, imitare, prendere la forma dei suoni che la circondano. Una scelta coraggiosa, che di certo non lascerà tutti soddisfatti: forse non siamo lungimiranti, ma spesso durante l’ascolto capita di pensare “che spreco”.

59/100

(Enrico Stradi)