ERIO, Für El (La Tempesta, 2015)

cover_erio_rgb_album_1440_per_1440Da un po’ di mesi si è cominciato a parlare di Erio, giovane scoperta de La Tempesta. Era marzo quando uscirono i suoi primi brani, che incuriosivano per la voce cristallina del ragazzo, sospesa in atmosfere minimali a tinte varie, dal soul, al pop, all’elettronica. Un risultato a suo modo sorprendente, che produceva già qualche paragone affrettato (Bon Iver, Jònsi). Qualche mese dopo, ecco un disco intero, questo “Für El”, che ha il compito di svelare parte del mistero che avvolge il giovane cantautore italiano.

Un disco di scoperta quindi, ma che fa di tutto per non apparire smanioso di attenzioni, coscio della propria forza: che Erio fosse una creatura timida e sfuggente ce lo aveva già dimostrato lui stesso con l’uscita dei primi singoli, in cui il falsetto candido ed emotivo della sua voce conquistava le nostre orecchie e al tempo stesso raccontava molto a proposito della sua indole schiva e riservata. Non a caso, sono proprio quei due brani ad aprire il disco, come se l’autore volesse riprendere il filo interrotto e introdurci al disco in maniera graduale e non affrettata. È una scelta che giova all’ascolto, perchè da lì in poi ogni pezzo suona senza pressioni, prendendosi tutto il tempo che serve per sorprendere: sospese in una dimensione intima, le canzoni prendono forza e vigore quando la voce di Erio incontra i suoni minimali della produzione, che si muove tra l’elettronica e l’acustico. È proprio questa struttura instabile tra il cantato e le basi musicali a contraddistinguere i momenti più intensi dei brani: le pause senza suono preparano i crescendo strumentali, impreziositi dai ghirigori vocali del ragazzo. Succede così in “What You Could Have Said When He Died but Never Did”, in cui a costruire i saliscendi è la sola chitarra acustica, e in “El’s Book”, forse il pezzo più riuscito dei dodici totali, in cui si sperimentano anche cori, doppie voci e inserti elettronici dub, che con il loro incedere cardiaco fanno pensare con le dovute distanze ad alcune cose di Forest Swords. E se è vero che per tutto il disco si alternano ambientazioni analogiche (“Cafeteria”, “Torch Song”, “On His Van”) ed elettroniche, è proprio quando è accompagnato da quest’ultima che Erio riesce a tirare fuori tutta la sua potenzialità: “The Reason” e “Stareater” sono di poco sotto per qualità e magnetismo alla già citata “El’s Book”.

“Für El” è insomma un disco incoraggiante: se doveva servire per presentarci un nuovo promettente artista, non si può dire che non sia riuscito negli intenti. D’altro canto, è anche vero che il suo primo disco è forse troppo lungo, a tratti ripetitivo, ma sono errori di ingenuità e proprio per questo perdonabilissimi, vista la sua età. Per diventare grande e del tutto sicuri della propria bravura ci vuole ancora tempo, ma le premesse ci sono tutte.

64/100

Enrico Stradi