DESTROYER, “Poison Season” (Merge Records, 2015)

11164625_10152994849216871_633733051592244693_nDopo 20 anni a far musica, deve essere stata fisiologica la necessità di cambiare registro. Soprattutto dopo il successo inaspettato di “Kaputt”, nel 2011.
Con l’ep “Five Spanish Songs”, era facile immaginare che le cose si sarebbero ridimensionate. Non certo perché non fosse capace, semplicemente perchè non gli andava. Atteggiamento più volte riscontrato nelle sue interviste degli ultimi periodi.
Ma, nonostante quest’aria schiva e non curante del cosa possa risultare più catchy, “Poison Season” tutto è tranne che un album che passa inascoltato.
Per la strada si è persa la drum machine, ma solo per scambiarla con percussioni e archi. Mantenendo il sax, per l’effetto “eleganza”.

Meno immediato di “Kaputt” di sicuro, “Poison Season” ha altre aspettative.
Sembra intanto sistemato in una struttura ordinata, con “Times Square” che si ripete in tre arrangiamenti diversi (“Times Square, Poison Season I”, “Times Square” e “Times Square, Poison Season II”) a formare i confini di un’area ben precisa in cui tutto questo disco accade.
Inizio, centro e fine di una storia. Raccontata su toni caldi di un pop raffinato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, addolcito dai violini e surriscaldato dalle percussioni di stampo sud americano.
Senza in fondo abbandonare del tutto quello che è (…è stato?): “Dream Lover” vibra forte di rock intenso con il sax che sembra Clarence Clemons. Solo il primo singolo, straniante.
Poi l’aria che si respira principalmente nel disco è quella dei primi accenni d’autunno a Manhattan come in alcune commedie brillanti americane. Bejar sa declinare tutta la variegata proposta di sentimenti, ora appoggiandosi perfettamente ad un’interpretazione teatrale e profonda, senza prendersi mai troppo sul serio, ora passando alla dolcezza melassosa alla Christopher Cross (provate a ripescare la coppia Minnelli-Moore in “Arthur”, del 1981).
Una fisionomia ben definita, tutto sommato, in cui la ricchezza di richiami non crea caos, piuttosto sembra finalizzata a dare una luce diversa ad una stessa strada, a seconda del personaggio che l’attraversa.

78/100

Elisabetta De Ruvo