HAPPYNESS, “Weird Little Birthday” (Moshi Moshi Records, 2015)

h1Britannici, con un cuore che batte per il lo-fi di stampo americano e con un esordio autoprodotto che, a distanza di un anno, viene ristampato dalla Moshi Moshi Records con l’aggiunta di 4 bonus tracks.

Il trio britannico mette le mani avanti: “noi siamo fans di Mark Linkous”. Non ce ne saremmo mai accorti. Questo “Weird Little Birthday” avrebbe potuto essere un disco abbandonato e poi rispolverato degli Sparklehorse. Nessuno avrebbe detto nulla. Anzi, tutti ne avrebbero goduto. Perché, parliamoci chiaro, l’intro di “Baby Jesus (Jelly Boy)” non avrebbe sfigurato in quel capolavoro d’esordio che fu ““Vivadixiesubmarinetransmissionplot” come la scarica elettrica di un pezzo minuscolo (per il minutaggio) quale “Refrigerate Her”.
Fosse solo questo, già sarebbe sufficiente. Invece il disco alterna momenti di dolcezza “Pumpkin Noir”, rock sussurrato e ipnotico “Orange Luz” e melodie pop anni 90 come le immediatissime “Great minds think alike, all brains taste the same” e “It’s on You”.
D’altronde noi abbiamo amato quel gruppo della Virginia, quel sound caracollante, fedelmente basso eppure così carico di pathos, quel country metà polvere e metà anfetamina, quel folk che è capace di parlare ancora al vento e quel rock dilatato il giusto per poter fumare ancora un po’ in tranquillità. Così, invece di accusare il plagio, si assaporano i pregi, che in questo esordio sono davvero parecchi.

Semplicemente un omaggio? Solo un revival nostalgico? Oppure un’onda che ritorna? No, probabilmente solo un modo di ricordarci che l’anima di chi muore può andare a finire nelle chitarre di chiunque.

70/100

Nicola Guerra