WILL BUTLER, “Policy” (Merge Records, 2015)

butlerCito a memoria la prima cosa che ho letto su Facebook riguardo questo primo lavoro firmato Will Butler: “Un insieme di scarti e brani meno riusciti degli Arcade Fire”.
Quindi “pregiudizievolmente”, chiunque faccia parte del gruppo, se addirittura tra i più giovani, può fare solo cose peggiori, su quella falsa riga.

Credo piuttosto che quel commento fosse stato fatto senza un ascolto adeguato. Anzi, proprio senza ascolto.

Ora, fuor di dubbio è che si sente che faccia parte di una “certa band”, ma qui si sta ascoltando Will Butler, e non possiamo rimproverargli un talento individuale e personalissimo che via via si dichiara ascoltando “Policy”.
Lì dove si mette in gioco da solo, seduto a un piano (“Sing to me”) viene fuori una singolarità gonfia d’altro rispetto agli Arcade Fire. Come pure “Finish what I started” regala una dolcezza compositiva e un crescendo delicato che sinceramente ha poco a che fare con i tifoni sonori con i quali spesso ci stende il resto della “famiglia”. Anzi, direi che siamo molto più vicini al Lou Reed più riflessivo, omaggiato con buona intensità.

Ovviamente, poi, se hai un supporto di produzione di un tale livello, che fai? Non lo usi?
Saresti stupido e pure presuntuoso.
E infatti quando imbraccia la chitarra certi riff diventano familiari (in senso lato). Questo ci impone una domanda però. Ma noi, lo conosciamo davvero l’apporto che ogni singolo componente degli Arcade Fire porta alla band? Conosciamo la genesi compositiva di ogni pezzo, sappiamo chi è il primo suggeritore di un passaggio che poi diventerà il canzone finita di un loro album?

Io no. Quindi non mi scandalizzo più di tanto se certi pezzi, tutto sommato un paio alla fine, mi ricordano l’intero ensemble (tra questi “What I want”).
Perché poi parte “Take my side” e di nuovo siamo altrove, vicini stavolta alla produzione di Graham Coxon solista, in maniera istintiva, grezza, urlata, diretta.

Policy è un album talmente multi-sfaccetato dalla ricchezza di generi amati dal Butler jr. che c’è posto anche per una chiusura proto-beat affidata a “Withness”, brano divertente e spensierato come potevano essere gli anni ‘50.

Concludendo. Ci vuole anche del coraggio, oltre al talento, per trasformarsi da una delle colonne della cattedrale del suono ad albero a sé.
E fiorire.

73/100

(Elisabetta De Ruvo)