IOSONOUNCANE, “Die” (Trovarobato, 2015)

11423_10155231806450245_2668382375095181491_nAvevo vent’anni quando uscì “La Macarena Su Roma”, il primo disco di Iosonouncane. Riempì buona parte delle ore e dei giorni di quell’estate, e alcuni pezzi, ora che li riascolto per riallacciare i fili lasciati sparsi della produzione dell’artista sardo, suonano ancora a memoria: l’atmosfera afosa al limite dell’opprimente di “Summer on a spiaggia affollata”, la verbosità impazzita di “Il corpo del reato”, “Torino pausa pranzo” e “Il ciccione” con quel loro modo di tagliare a fette il cadavere della società contemporanea italiana.

Da lì in poi, un solo singolo uscito scriteriatamente nel 2012, senza nessun contesto a sorreggerlo: e infatti di “Le sirene di luglio” in pochi ne hanno ricordo.

Lo si stava quasi per dare disperso Jacopo Incani – questo il suo nome all’anagrafe. E invece no, tutto il contrario. In questi anni ha lavorato molto, è ritornato in Sardegna, facendo pace con le sue radici profonde e rimarginando quelle ferite esistenziali che sanguinavano copiosamente nel suo primo disco. In questo senso, “Die” è per lui il disco del conseguimento della maturità artistica, e poco importa se è arrivato solo al secondo lavoro.

Il disco è costruito su un continuum sonoro senza interruzioni, che inizia alla prima traccia “Tanca” e si conclude con la finale “Mandria” cambiando nei toni, nelle parole, nelle storie, nei suoni senza però mai operare rotture nette: come un canto greco, vive dell’unità della diversità dei momenti, della differenza di intensità, della sublimazioni della catarsi e di quello che viene dopo.
E proprio come un canto, nel suo titolo è nascosto il significato dell’opera: “Die” gioca sull’ambivalenza semantica, sospeso tra il significato nel dialetto sardo, che è “giorno”, e la traduzione inglese, “morire”. Il disco di Iosonouncane racconta una storia di morte, una storia che dura un giorno, una storia di un uomo in mezzo al mare in burrasca e di una donna che dalla riva teme di non poterlo vedere mai più.

I sei pezzi che compongono il disco esprimono densità a più livelli: musicale, verbale, artistica.

Dal punto di vista musicale, Iosonouncane dimostra di aver ancora di più perfezionato la capacità compositiva, creando turbolenze sonore a partire da materiale analogico, trasformandolo, affilandolo e distorcendolo fino a farne scoparire la parte più terrena. E così dentro “Tanca” quello che sembra essere un campionamento di un verso animale si deoggettizza, trasformandosi in un mare di suoni massicci in tempesta: onde altissime e ripide di manipolazioni analogiche e digitali che si calmano soltanto dopo aver saturato tutto lo spazio uditivo.

“Stormi” regala aperture di colore ed arie inattese: una chitarra acustica, il cantanto slanciato, una marimba?, i coretti e i fiati d’ottone confezionano tutti insieme un’atsmofera spensierata, almeno fino a quando, sul finale, ci si accorge che il cielo sereno anticipava in realtà la proverbiale tempesta. Ed ecco infatti “Buio”, coi suoi dieci minuti, a cadenzare un saliscendi tra l’umorale e il catartico. E’ poi “Carne” ad affilare sintetizzatori e sampler, ed è qui che il senso di morte fino ad ora latente si fa sempre più concreto: i riferimenti, anche nel testo, diventano sempre più crescenti e introducono un finale musicalmente schizofrenico. “Paesaggio” e “Mandria” chiudono il disco, il primo operando per sottrazione sonora, il secondo invece dando spazio a tutto il livore e tutta l’energia che restano in corpo all’artista sardo.

Alla fine del disco, ci si ritrova quasi spossati: quella di Iosonouncane è un’opera che trasuda vita vissuta, sangue e carne, senso del dolore e della perdita, proprio come faceva “La Macarena Su Roma”, anzi molto meglio: con “Die” tutto ciò diventa parte nutritiva di un racconto che ha il compito filosofico di sublimarne l’intensità e identificarne la morale.
Ancora una volta infatti, a Iosonouncane interessa raccontare il mondo in via di putrefazione che gli sta intorno, ma questa volta lo fa dimostrando una capacità di astrazione artistica e di pensiero che al momento sembra non avere eguali, almeno in Italia.

78/100

Enrico Stradi