ROYKSOPP, “The Inevitable End” (Cooking Vinyl, 2014)

royksopp_paint_2I Röyksopp possono avere solo un cruccio rispetto al loro quinto album: quello di non essere riusciti a metterci dentro un pezzo “da classifica” come “Get Lucky”. Di guisa che rimane vero che i Daft Punk siano universalmente capaci di far parlare di loro e di riempire gli spazi radiofonici mettendo d’accordo il populino e la critica, mentre i norvegesi – pur attingendo dalle stesse fonti, Moroder, i Kraftwerk, i synth Korg e l’elettronica “colta” degli anni ’70 e ’80 – possono al massimo attirare l’attenzione di (poco più) degli addetti ai lavori.

In realtà il singolo “Monument” (T.I.E Version) con Robyn è un signor pezzo da muoviculo (ma con quel pizzico di malinconia norvegese che non so descrivere e che probabilmente lo frega alle orecchie dei più) e “Sordid Affair” ci riporta alle cristalline atmosfere di “Melody A.M.” (2001), solo per stare ai due brani più riusciti, ma tutto questo evidentemente finisce per passare in sordina in questo 2014 dove siamo subissati di proposte a destra e a manca, che ci distraggono. E invece noi lo sottolineiamo con doppia matita rossa che “The Inevitable End” è un signor disco plasmato da una classe ed eleganza indiscutibile. Particolarmente riuscito nei featuring femminili di Susanne Sundfør (l’algida “Save Me” e l’epica “Running to the Sea”), per non parlare della “solita” Robyn presente anche nel divertissement “Rong” (una quasi citazione dei Depeche?), risulta meno chiaro nelle intenzioni nelle canzoni cantate da Jamie Irrepressible, in quel voler riscaldare i cieli inevitabilmente tersi della loro musica con qualche timbrica vocale più bluesy. Seppure, bisogna ammetterlo, “I Had This Thing” funzioni eccome.

“The Inevitable End” ha in sé un equilibrio invidiabile: il lato femminile, il lato maschile, entrambi guardati a vista da quello robotico. L’apertura di “Skulls” e la chiusura di “Thank you” ci ricordano infatti che, al di là della componente umana, l’elettronica è comunque il campo dei vocoder e dei “robot”. Solo che invece di avere la glacialità perfida di Hal9000 – emblema perfetto che potremmo affibbiare al krautrock dei Kraftwerk -, nei Rokysopp del 2014 ci troviamo di fronte, e non potrebbe essere altrimenti, ad un’elettronica addomesticata ed affidabile modello TARS e CASE di “Interstellar”.

In ogni caso, un monolite da adorare.

76/100

(Paolo Bardelli)