WOW, “Amore” (42 Records, 2014)

wowDietro a questi nuovi vociferati WOW ci sono storie di piccole soddisfazioni che – lo ammettiamo – noi non conoscevamo. Soddisfazioni che però, vista la giovane età della formazione, possono essere riassunte in una sola frase: band romana che in realtà è anche un po’ francese e un po’ ligure, e che negli ultimi ha consumato parecchi chilometri girando l’Italia e l’Europa portando in giro il suo suono purissimo e scanzonato che è un po’ garage e un po’ lo-fi.

Di quel suono lì però, ora che esce il primo disco per la 42records, se ne sentono soltanto gli echi, più o meno distintamente a seconda delle canzoni che ci sono dentro.
Sì perchè i quattro ragazzi dalle diverse provenienze geografiche hanno deciso di cambiare le cose in vista del disco di quello che potrebbe rivelarsi il salto definitivo: sparisce l’inglese e arriva l’italiano, sparisce ma non del tutto la ruvidezza degli esordi e arriva una smaccata aderenza al pop filo-sanremese degli anni ’60.
Queste sono le premesse, e per uno come me che quella roba lì in bianco e nero la ascolta con una irrazionale nostalgia (visto che negli anni Sessanta non c’ero ma nemmeno lontanamente), sono buone premesse.

Quello che si ascolta in questo “Amore” è però molto più abbondante e ricco: il rimando alla canzone all’italiana non è l’unico motivo che arriva alle orecchie, ma c’è molto di più. E quindi se è vero che canzoni come “Tu”, “Dove Sei”, “La gelosia” sembrano arrivare dal passato, portandosi dietro il gusto dolceamaro di Luigi Tenco e allo stesso tempo l’odore di naftalina che può anche piacere, è altrettanto vero che dentro al disco provano a coesistere altri orizzonti musicali, che si allontanano dalla sfera di influenza degli anni ’60: ci sono i Settanta, con il loro suono ipnotico, allucinato e distorto dentro “Il Veleno” e dentro “Il vento”, e c’è quel garage punk che i WOW si portano dietro da sempre e che ritorna perfezionato in “Mia cara Lu” ma soprattutto in “Sospiro”.

Un caleidoscopio di suoni ed epoche diverse che nel suo distorcere Patty Pravo con i Velvet Underground, o Luigi Tenco con Ty Segall, o ancora i fiori di Sanremo coi funghetti della california, potrebbe risultare fin troppo barocco. Il punto di domanda che rimane anche dopo svariati ascolti di “Amore” è proprio questo: e se tutta questa abbondanza di stili e citazionismi fosse lì per nascondere una debolezza di contenuti, che infatti si sente emergere qua e là nel disco, tra facilonerie nei testi e qualche macchiettismo di troppo nei suoni?

Eh, ecco, forse, solo forse, sì.

59/100

Enrico Stradi