TY SEGALL, “Manipulator” (Drag City, 2014)

tysegall-manipulatorGiusto o no accusare un eccesso di produttività creativa liquidandola come semplice capriccio personale? Ok, i Beatles cagavano fuori dischi e metà dei loro lavori sono indelebili cartoline che hanno segnato la storia del rock e Frank Zappa la nomina del genio se l’è procurata anche grazie all’iperattività. Per noi però Ty Segall rimarrà sempre il carbonaio del garage rock e quando avremo baffi canuti e panze d’ordinanza, rimpiangeremo questa manciata di dischi a cadenza bimestrale che rimarcano quanto sia bello vivere con le orecchie in perenne stato di fuzz e melodie appiccicose che ci fanno decollare sul divano, convinti che ad aspettarci, al posto dei cuscini, ci sia una folla sudata e adorante innamorata della nostra eterna giovinezza.

Insomma, io anche stavolta mi sono divertito.

Come potrebbe essere altrimenti? Tutti lì a puntare il dito sul modo scanzonato e poco “professionale” del biondo californiano, ma il precedente “Sleeper” non ne rimarcava il talento da songwriter? “Goodbye Bread” non esaltava le capacita riassuntive? “Slaughterhouse” non onorava il concetto di jam con il rumore eletto a padrone? E le melodie deviate di “Lemons”? L’hard rock del progetto “Fuzz”? Le collaborazioni con il “laureato” e fidato Mikal Cronin?

In definitiva, com’è in sostanza questo “Manipulator”? Ha senso analizzarlo ora invece di goderci queste pastiglie di Nuggets che danzano con l’organetto della title track e l’elettrica deragliante di “It’s Over” e “Feel”? Ha senso parlare di un artista che non s’impone nulla se non quella di seguire la sua debordante voglia di suonare? Canzoni semplici, certamente. Riff elementari, indubbiamente. Suonati però con una sincerità disarmante. Un riassunto delle puntate precedenti che, eliminando i pochi orpelli presenti, si candida a diventare un ricchissimo disco da cui attingere fortunate hit. Diciassette pepite grezze che richiamano lo sguaiato folk dei Violent Femmes (“The Clock”), la vitalità degli Who e degli Stones (brani quali “Green Belly” e “Don’t You Want To Know? (Sue)” profumano di rock’n’roll) , il Glam di Bowie e Bolan senza lustini di “Tall Man Skinny Lady” e poi la continua, liberatoria, gioiosa elettricità rilasciata alla fine del buon cinquanta per cento dei brani.

Rumore e melodia, in pratica. Non era questo un ottimo elisir di lunga vita?

75/100

(Nicola Guerra)