LUSHES, “What am I doing” (Felte, 2014)

lushes_grandeLa musica degli anni duemila è un gioco di rimandi continuo, una sorta di eterno revival di cose già sentite. Niente di male in ciò se non che – troppo spesso- si cade nella copia della copia, i primi Editors si rifacevano agli Interpol, che alla loro volta si ispiravano a certe sonorità post-punk anni ottanta. Un circolo vizioso, si direbbe. I Lushes, duo di Brooklyn, in tutto ciò sono degli equilibristi, hanno come tutti i gruppi influenze e band di riferimento, ma – cosa che non capita spesso negli ultimi anni – elaborano un proprio stile, non ancora unico ma che sarà tale in futuro. James Ardery (voce, chitarra, synth) e Joel Myers (batteria e percussioni elettroniche) sono due personalità agli antipodi che si incontrano: il primo è cresciuto a Nirvana, Wu – Tang Clan e Fugazi; il secondo, figlio di un organista classico, ha alimentato la propria sete di musica con cd di Bach e Rachmaninoff del padre e suonato il pianoforte ed altri strumenti. “What am I doing”, disco d’esordio del gruppo, risente – nella struttura dei brani – della forma mentis di Myers, vi è un studio approfondito del tempo musicale.

Ogni pezzo, nei vari minuti di durata, si evolve e sviluppa in geometrie diverse. “Traffic” è l’esempio calzante di questa profonda eterogeneità del tessuto strumentale: inizia con un intro hardcore/ noise rock alla Pissed Jeans e sfocia lentamente in una coda strumentale chiusa con la voce di una soprano. E’ follia o poco ci manca. Si combinano la scrittura rock matematica di certi gruppi anni novanta (June of 44, Don Caballero) con un linguaggio tipico di certa elettronica pop. “What am I doing” non è un disco rock, la chitarra – bisogna dirlo – non è mai protagonista, ha un funzione complementare, è parte integrante di un discorso sonoro più grande, appare e scompare tra dilatazioni elettroniche (“Feastin”), quando non è del tutto assente (“Garden”). Quasi mai tagliente, ad eccezione della quasi- noise “Dead girls”, d’altronde un approccio diverso sarebbe fuori luogo nella logica dell’album, basata sull’equilibrio tra cerebralità e istintività.

Un debutto incredibile. Da non perdere.

77/100

(Monica Mazzoli)

14 maggio 2014