THE WAR ON DRUGS, “Lost In The Dream” (Secretly Canadian, 2014)

1507924_677613408947594_1399823816_nDeve averlo ascoltato parecchio l’ultimo disco di Kurt Vile, il suo ex compare Adam Granduciel, conosciuto ai più come il capellone dei The War On Drugs.
La prima impressione che si ha ascoltando questo nuovo “Lost In The Dream” è che Granduciel abbia proprio provato a fare quello che è riuscito l’anno scorso a Vile con “Wakin On A Pretty Daze”: togliere via la polvere dal rock tradizionale americano, quello a metà tra il folk e la psichedelia.
Un’attitudine non del tutto nuova, sia per Adam Granduciel che per Kurt Vile, che insieme suonavano proprio nel The War On Drugs fino al 2008: ci hanno sempre provato infatti a muoversi un po’ al di qua e al di là della linea del rock tradizionale, e con buoni risultati: la doppietta EP-LP “Barrel Of Batteries”-“Wagonwheel Blues”, cose pregiate che se non conoscete è meglio provvedere. Poi da lì le strade dei due capelloni si sono separate: Kurt ha deciso di provare a fare da solo, Adam ha continuato coi The War On Drugs, mantenendo un buon livello ma senza punti esclamativi, soprattutto mediaticamente.

Questo almeno fino a dicembre, quando è uscito “Red Eyes”, il singolo che anticipava l’uscita di “Lost In The Dream”. Ci si aspettava la solita cosa, un misto di cantautorato folk e rock psichedelico che tanto apprezzano gli affezionati. E invece oltre a questo si è subito sentito molto di più: voce e batteria molto più decise e convinte, ma soprattutto aperture pazzesche di synth e tastiere che stirano e sgranchiscono i muscoli della canzone.
Praticamente un pezzone, forse il.

E ascoltando il resto del disco, anche nei momenti più lenti – che ci sono, mica spariscono – si riconosce una maggiore consapevolezza: il suono e la voce sono più vivi, limpidi, incisivi, e anche le lunghe code delle canzoni sembrano avere più senso ora, arricchite come sono di echi e dilatazioni space e ambient. È tutto questo enorme impianto sonoro che convince, nella sua estensione, nella sua vastità: le canzoni sembrano non finire mai e anzi godono della loro lunghezza spropositata. Robe da sei, sette minuti che si prendono tutto il tempo che pare a loro, sospese, ariose e giganti come sono.
Oltre a “Red Eyes” infatti, le cose memorabili ci sono e sono numerose: “Under Pressure” all’inizio, “Burning” più tardi (che assomiglia a qualche “corsa” alla Springsteen), “Disappearing” e “An Ocean And In Between The Waves” al centro del disco dimostrano che Adam Granduciel stavolta ci ha preso alla grande.

90/100

(Enrico Stradi)

3 aprile 2014