CHEATAHS, “Cheatahs” (Wichita Recordings, 2014)

Untitled-1Ah, gli anni ’90, con il loro trasportarsi dietro un male di vivere vero, autentico, generazionale, dischiuso però come una bolla di sapone dopo la mercificazione di certi ideali. Oggi, paradossalmente, siamo messi molto peggio. La merda non arriva solo fine alle ginocchia e di sicuro non bastano quattro chitarre elettriche per scrostarcela di dosso. I Cheatahs, quattro ragazzi inglesi che arrivano al debutto dopo la pubblicazione di due EP, “Coared” e “Sans”, inclusi in “Extended Plays” del 2013, provano a farci credere che quegli anni, non solo non sono mai passati, ma che è possibile riesumarli catalizzando l’attenzione sul recupero estetico di queste sonorità. Ma quanto è brutto il revival che si gongola senza aver speranza alcuna? Oddio, in questo esordio nulla è da buttare ma nulla è però davvero memorabile: l’attacco di “Geographic” è lo shoegaze dei My Bloody Valentine suonato però con foga e velocità (se consideriamo che la particolarità del gruppo di Kevin Shields era la lentezza, capiamo dove il passo zoppica), “Mission Creep” rallenta, “Get Tight” accelera e assomiglia all’indie rock dei Placebo meno ispirati mentre “Leave to Remain” butta nel piatto rumore neanche troppo assordante con melodie eteree che si somigliano un po’ tutte. Poi però si salva il power pop di “The Swan” (solare e contagiosa come un pezzo, minore, dei Superchunk) e il ri-tirare in ballo i Dinosaur, che Jr. non lo sono da un pezzo, con le chitarre in levare di “Cut The Grass”.

Sarà la mia longeva età, sarà che questa epoca la rivivrei invece di ricordarla solamente, ma questa musica ha già fatto il suo tempo.
Che poi sia meglio una grattugiata di chitarre che un mugugno sanremese, quella è un’altra storia.

55/100

(Nicola Guerra)

01 aprile 2014