Intervista ai Mimes of Wine

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I Mimes of Wine sono Laura Loriga (voce e pianoforte), Riccardo Frisari (batteria e percussioni), Stefano Michelotti (chitarra, fisarmonica, ghironda e altre diavolerie), Matteo Zucconi (contrabbasso) e Luca Guglielmino (chitarra). Qualche giorno fa ho incontrato Laura e Riccardo, reduci da un tour a zonzo per l’Italia in questo 2013 in promozione del disco “Memories for the Unseen“, accolto dal favore della critica. Ragazzi con la testa in spalla ed il cuore su mille progetti, superappassionati del proprio lavoro. Sentite cosa ci hanno detto.

Perché hai scelto Mimes of Wine come nome del tuo progetto?
L Viene da un disegno che mi ha regalato un amico tempo fa, che recava una sua poesia con queste parole. Mi piacevano molto, perciò ho tenuto “Mimes of Wine” sia come copertina del mio primo demo che come nome della band.

Vivi tra Bologna e Los Angeles. Impressioni sugli States? Trovi che ci sia più interesse per il tuo genere di musica?
L Penso che in generale sia più facile fare musica negli States perché ci sono molte più possibilità, locali, etichette. Inoltre certe cose vengono maggiormente riconosciute. Tuttavia in Italia ci sono dei vantaggi: essendo il mercato più piccolo, riesci prima ad arrivare a determinati risultati. Là ci sono meno “regole”; puoi diventare enorme dopo il primo disco o viceversa non fare niente dopo i primi sei. Anche riguardo ai tour, farli negli Stati Uniti è più difficile, è un’esperienza fisicamente molto frustrante, ma anche molto bella. Puoi suonare in una varietà di posti molto grandi e le radio universitarie, piuttosto che gli house concerts, sono realtà affermate e importanti.

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Come vi trovate a suonare insieme e siete contenti di come sta andando il tour? Dalla data al Bronson di fine 2012 ho notato solo miglioramenti.
L Non lo so perché ci sono dentro, sai? Da fuori è bello sentirselo dire (ride). Siamo insieme da due anni e mezzo, a parte Stefano con cui suono già da quattro anni. In realtà sono tutti amici di vecchia data, amici jazzisti, bravissimi. Non mi sarei mai immaginata che un giorno avremmo portato avanti questo progetto insieme! Poi io non mi vedo come artista solista, se non ci fossero loro non mi divertirei.Tra le tante belle serate in tour, sottolineo quella di Messina al Retronouveau qualche settimana fa, e Roma.
R Quello che funziona in questo gruppo è che nonostante tutti noi proveniamo da mondi diversi, abbiamo punti di connessione e cose che ci piacciono in comune. In “Memories for the Unseen”, letteralmente, ognuno ci mette del suo: la scelta stessa del contrabbasso è parecchio forte e richiama sonorità jazz e folk; io ad esempio ho sfruttato la mia esperienza con le percussioni africane, cercando di dare un’interpretazione meno rockettara e più ricercata. Per dire con il jazz si lavora per atmosfere, che non mancano in questo disco. C’è un filo conduttore di sonorità scure e ipnotiche, a tratti tribali se ascolti “Silver Steps”. L’ultimo disco che ho fatto per Cesare Malfatti (ex-chitarrista dei LaCrus, ndr), con Matteo Zucconi dei Mimes al contrabbasso, aveva un approccio del genere, pur trattandosi di cantaurato italiano. Con Stefano invece suoniamo anche musica araba. Laura l’ho approcciata suonandoci degli standard, “Nature Boy” e altro jazz stupendo; è un’artista che ha il grande pregio di portare pezzi strutturalmente finiti ma che danno una certa libertà di espressione a chi ci suona dentro. Uno strumento medievale come la ghironda, dove la vai a mettere? Eppure ci sta. In un disco pieno di così tante atmosfere, ci volevano dei musicisti (con gli attributi) come noi (ride).

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Ci sono differenze tra i Mimes of Wine versione studio rispetto alla dimensione del live?
L Non molte, in entrambe le situazioni c’è grande spazio per il resto del gruppo, decisivo nello sviluppo degli arrangiamenti. Rimane un approccio fondamentalmente acustico, non nel senso di poco elettrificato, ma nel senso di cose che si fanno con le mani. Abbiamo pochissimi elementi elettronici, anche se è un mondo che dovrei esplorare perché non ne so quasi nulla. Comunque stiamo scrivendo cose nuove che suonano già diverse, e mi fa molto piacere in realtà.
R In studio devi trovare un’idea semplice e che funzioni, soprattutto devi cercare di esprimerla in determinati tempi. Quando suoni dal vivo le idee le mantieni ma c’è un buon margine per uscire da quella che è la stesura del pezzo. La coda di “Yellow Flowers” possiamo farla durare due battute come dieci minuti, ed è lì che viene fuori la nostra formazione musicale.

Laura, parliamo dei nuovi brani di quest’anno. Cosa puoi dirci di “Holy” e “Shadows”, realizzati con Giuliano Dottori? Noto una profondità unita ad una certa essenzialità di fondo. “Shadows” non sfigurerebbe tra le ballate di “Amnesiac” dei Radiohead.
L Ah quelli sono pezzi bellissimi! Eppure quando scrivi non pensi tanto a cosa puoi assomigliare, è il vostro mestiere parlare di questo e noi facciamo di tutto per impedirvelo… ma se questo è dove andiamo va benissimo! Comunque queste sono due outtake di “Memories for the Unseen”. In mezzo alle varie bozze sono quelle che mi piacevano di più e ho pensato di svilupparle comunque. Giuliano mi ha dato una gran mano ad arrangiarle dato che sono riuscita a fermarmi di più a Milano, mentre quando ero fuori è stato Adam Moseley il mio più grande collaboratore. “Shadows” è basata su un’idea semplicissima di tempo a 5/4, è bella ma ha vita molto breve. “Holy” era pensata come parte integrante del disco, lo stesso testo si ricollega ai temi degli altri brani. Il disco però era già bello lungo e non serviva altra cigar box!

“Yellow Flowers” con il suo video è l’altra novità in casa Mimes of Wine. L’ha girato Corrado Nuccini dei Giardini Di Mirò, com è andata? Avevate idee diverse al riguardo?
L No, tutti e due avevamo questa idea di qualcosa che doveva svilupparsi ma non accadere mai, quest’idea di attesa, di building-up, succede e invece non succede. Poi la contrapposizione tra me e quest’altra figura femminile, una specie di Cassandra, visionaria, bendata come spesso lo sono tutti quelli che portano messaggi. C’è come una conversazione silenziosa tra noi, alla fine anche io ho il dito bendato, c’è la possibilità che io mi trasformi in lei e viceversa. Poi la presenza di colori accesi crea qualcosa di surreale che non c’entra molto con i toni della canzone. Anzi trovo piuttosto azzeccato il contrasto tra il dramma dell’audio e la calma apparente dell’immagine. L’uso di piani ravvicinati e la ripresa così veloce, sono due aspetti della regia di Corrado che mi piacciono molto.

Ora ti attendono due importanti concerti all’estero proprio con i Giardini.
L Andiamo a Bruxelles e Parigi tra due settimane, poi con il nuovo anno probabilmente verranno anche nuovi pezzi. Intanto ne abbiamo riarrangiati alcuni del loro repertorio in chiave più intima, forse non strettamente acustica, ma con poca batteria. Io sono una nuova aggiunta e ancora bisogna capire che ruolo avrò nel gruppo. La data top con i Giardini è stata finora quella dell’Interzona di Verona l’anno scorso, ma ne abbiamo fatte solo di belle.

Quali artisti fanno parte del tuo background musicale?
L Sono cresciuta con la musica classica onestamente, in particolare i pianisti Debussy e Chopin. E poi tante voci, da Billy Holiday a cose più simili a quello che faccio ora, Cat Power e PJ Harvey. Ascolto anche roba molto diversa, come Morphine, Moon Dog, i Coil, e un sacco di vecchio folk americano che magari stando in Italia non avrei avuto la pazienza di approfondire. Tutto questo ha influenzato il mio percorso, perché mano a mano le parole e la voce hanno acquistato sempre maggiore importanza con il piano un po’ più indietro ma comunque fondamentale.

Un’ultima curiosità. Non hai mai pensato di realizzare un disco in italiano?
L Negli ultimi dieci anni sono quasi sempre stata fuori dall’Italia e rimango legata a quest’esperienza. Mi viene naturale cantare in inglese, è più semplice per i suoni, per come è fatto, io stessa lo parlo da tanto tempo. Non nego che sarebbe bello fare anche qualcosa in italiano, ci si potrebbe arrivare ad un certo punto. Ma in questo momento non mi ci vedo a scrivere un disco così.

(Matteo Maioli)

20 dicembre 2013