VISIONI DI CODY, “Appennino Libero” (Neanderthal, 2013)

visioni di cody appennino liberoSiamo sommersi dalle pseudo-band italiane che si presentano come le salvatrici della Patria (musicale), e dagli artisti italici che cercano il modo più veloce per attirare l’attenzione con la solita provocazioncina, vomitando qualcosa che possa vagamente essere definita una “proposta musicale”. Le nostre redazioni ne sono piene, oramai ci siamo assuefatti, ma ciò continua ad essere fastidioso.

Poi, qualche volta, qualche rarissima volta, capitano nelle nostre cassette delle poste dei cd che ci riscattano tutti gli ascolti persi ed inutili: è il questo il caso di “Appenino Libero”, il cui teaser già ci aveva fatto partire contenti per le vacanze lo scorso Agosto. Le Visioni di Cody piazzano nel loro EP/non EP almeno un paio di quasi inni generazionali, quelle canzoni che avrebbero l’afflato per andare oltre e rimanere nelle memorie e coscienze collettive, capacità – questa – appannaggio di pochi, di pochissimi. “Ritorneranno” e “Augias” sono sorprendenti, e bisogna che si sveglino tutti gli ascoltatori più distratti e che questi due brani vengano trasmessi in loop dai megafoni dei municipi cittadini e dai campanili delle frazioni collinari. La band dell’Appennino Romagnolo non è più una pischella, suona da almeno 5 anni e il suo rock montanaro figlio dell’urgenza e della schiettezza di quei luoghi, nipote dell’esperienza del Consorzio Suonatori Indipendenti e fratello più piccolo del percorso diretto de Il Teatro degli Orrori (ma con molta più ironia ed autoironia), è da tutelare come il cinghiale appenninico (a cui i quattro hanno sostanzialmente dedicato il disco).

Arriva dunque chiara e forte l’invocazione di liberazione: “liberare l’Appennino” vuol dire in fondo spogliare la nostra casa, il nostro mondo, dagli orpelli inutili, dalla “Repubblica di Ezio Mauro, buona da accendere il fuoco”, da Corrado Augias, dai punkabbestia col cane, dai santi e dai fanti, dalla “recessione che non ti dimentica” e dall’ignoranza. Con una leggerezza di fondo, quella del verso più geniale del cd: “Eran partiti per la guerra, si son fermati al bar al bere”.

Un bianchino, grazie.

79/100

(Paolo Bardelli)

22 ottobre 2013