ONEOHTRIX POINT NEVER, “R Plus Seven” (Warp, 2013)

homepage_large.8f4faae3La traiettoria di un album di Daniel Lopatin è sempre difficile da prevedere. “Replica”, per chi scrive l’album top del 2011, sembrava la quadratura del cerchio tra ambient, vuoti d’anima e rigurgiti industriali tra l’onirico e il tribale. Dopo sei LP di alta qualità e svariati EP, non ci sarebbe nulla di più facile e scontato: continuare su quella strada dopo un percorso che ha toccato l’avanguardia pura, la fusion, addirittura la new age, la chillwave (del progetto Games con Ford) e infine l’ambient puro con “Instrumental Tourist” dello scorso anno al fianco di uno dei vate contemporanei del genere, il canadese Tim Hecker. E invece no. Il produttore figlio di immigrati sovietici di San Pietroburgo volati verso la periferia di Boston, è sempre di stanza a Brooklyn, nel cuore della scena. Ma nel momento in cui sembra essere diventato dannatamente cool (con collaborazioni e remix che vanno da Ducktails a Nine Inch Nails e la colonna sonora del discusso “The Bling Ring” di Sofia Coppola), lui svolta ancora. “R Plus Seven”, esordio con la sempre prestigiosa Warp, non è un compendio della musica sintetica che ha ispirato Lopatin, ma sembra piuttosto un viaggio nella musica digitale degli albori tra Eighties e flash Midi.

Trentun’anni dopo, Oneohtrix Point Never segue il filo della colonna sonora del corto d’animazione “The Rapture Of Frankenstein” dellsvizzero Georges Schwizgebel, datato 1982 e ripreso nella copertina dell’album, vedi vedi video.

“Still Life”, primo estratto dei dieci, ha fatto parlare di sé più per il disturbante videoclip presto censurato che inquadra nel migliore dei modi la vita dell’alienato 2.0 che si crea una ragion d’essere tutta sul web tra pippe, webcam, incontri virtuali e quant’altro. In realtà è il brano che presenta al meglio lo spirito di questo album, nostalgico ma con soluzioni contemporanee, arioso, ma sempre di difficile metabolizzazione.

Dopo l’intro gotica e spettrale di “Boring Angel” cui segue in apertura “Americans”, la nebbia si dirada e lascia spazio a synth e campioni che si toccano e si scontrano come meteore librandosi nell’etere. Dissonante, discontinuo come sempre, solo in “Zebra” alza i bpm per un piccolo capolavoro IDM che poi si perde nelle peculiari interferenze cosmiche. Sulla stessa linea “Cryo” ed “Along”, molto Orbital, lungo e ipnotico viaggio in un buco nero vagamente assimilabile alle mini-suite di “Replica”. “Problem Areas” rappresenta meglio la ricerca sonora che Lopatin ha messo in atto al fianco del co-produttore, l’ingegnere del suono Paul Corley. “Chrome Country” infine disegna dei panorami desolanti tra kosmische Musik in chiave anni Ottanta e incubi horror dal retrogusto gotico.

Daniel Lopatin in qualche maniera trova sempre il modo di disorientarsi e disorientare.

85/100

(Piero Merola)

5 ottobre 2013