Bachi da Pietra, Kandinsky Pub, Perugia, 21 marzo 2013

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Ahimè lo spauracchio del decibel e dello schiamazzo notturno finisce col determinare un orario d’inizio concerto decisamente anticipato rispetto alle mie previsioni, col risultato che quando il sottoscritto si presenta all’ingresso si è già ufficialmente bevuto almeno tre pezzi (di certo “Fessura”, “Haiti”, “Pensieri Parole Opere”, come avrà a confermarmi il buon Dorella più tardi).

Sono Bachi in assetto da pietra, quelli che vedo stagliarsi sul fondale buio di una cava ideale: uno contorto sopra la sei corde, l’altro imponente a picchiare sopra i tamburi che ora battono e sbattono le ali di “Coleottero”. Dovrebbe essere la versione umana dei BdP, quella che ho di fronte, quella del recente “Quintale”, per intenderci; quella che qualcuno oserebbe dire più “fruibile”, l’antropomorfizzazione della bestia selvatica che impara a convivere con l’uomo senza sbranarlo al primo contatto, se non siamo esagerati. Sempre che il concetto sia applicabile alle micidiali (quanto irresistibili) invettive di “Brutti Versi” o alle violente burrasche di “Mari Lontani” che seguono di lì a poco, insomma.

Vero è, comunque, che il sottovuoto minimale e claustrofobico cui eravamo abituati prende ora la forma di un assalto sonoro decisamente più frontale e diretto, o più semplicemente rock’n’roll se vogliamo: rimane ancora carne sopra alle ossa, dunque, con un balzo evidente fuori da quella gabbia depressurizzata che fino a ieri (magistralmente) intrappolava ogni respiro per restituire infine solo l’essenziale. È ciò che accade anche dal vivo allorquando le intense meraviglie di “Ma anche no” e il riffaggio metal di “Paolo il tarlo” (orfane fra l’altro del free-noise dyonisiano in registrazione) aprono a inedite istanze comunicative, pur mantenendo fede alla linea guida della crudezza verbale e del cupo disagio. In mezzo c’era stato modo di ripensare al mistero fitto di “Enigma” – che regge il forsennato incalzare di nomi di inconsapevoli personaggi e addetti ai lavori – e alle rime poco consolatorie nel groovy blues di “Dragamine”, ora mixata in coda sul giro di “Smoke on the Water”, tanto per far capire che c’è spesso una smorfia ironica dietro la truce maschera del reietto.

Indecisi se avallare o meno la svolta hard rock dei BdP, prendiamo tempo e ci riserviamo di pensarci su, limitandoci a registrare il nostro pieno apprezzamento per una serata condotta in maniera, diremmo, impeccabile. Non saprei come altro definirla. E se non lo sa Giulio Fa/vero né l’entomologo migliore figurarsi come potrei io, imperdonabile ritardatario che non sono altro.

(Antonio Giovinazzo)

2 maggio 2013

(foto di Gabriele Spadini – www.flickr.com/photos/gnabra)

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