Radiohead (+ Caribou), Parco delle Cascine, Firenze, 23 settembre 2012

Più si fanno complicati e più diventano di massa. Paradossalmente sembra questo il percorso dei Radiohead, baciati da un bagno di folla nel concerto di “Firenze-2012” che attesta, se ancora ce n’era bisogno, la loro capacità di far sognare un numero sempre maggiore di persone, e di farlo nel momento in cui, a livello sonoro, perseguono una stratificazione di linguaggio. In primis per la doppia batteria: l’inserimento di Clive Deamer può definitivamente considerarsi riuscito perché permette alla band inglese proprio di esplorare meglio quel tribalismo e componenti quasi jazzate che soprattutto l’inizio del concerto registra (“Bloom”, “There There”, “15 Step”), anche se – bisogna dirlo – non sempre in realtà si sente la necessità del secondo batterista (vedi parte mediana di “How To Disappear…”). E poi perché la sottrazione (apparente) che Thom Yorke e soci avevano accennato in “In Rainbows” ha lasciato spazio ad ulteriori sperimentazioni (esempio “Feral”), di rango diverso di quelle degli inizi degli anni Duemila ma pur sempre sperimentazioni.

Thom Yorke non è stato proprio al massimo a livello vocale: oddio, qui si sta a fare un po’ la punta alle matite ma non si può negarlo. Diciamo che non è stato all’altezza della sua fama che porta il sottoscritto a considerarlo il cantante più espressivo e versatile dal vivo (assieme a Jonsi), anche se ha guadagnato in sicurezza sul palco, in “guasconeria”: in questo senso il video di “Lotus Flower” sembra davvero averlo fatto svoltare… Il pubblico lo ha “aiutato”, cantando a squarciagola in più e più punti (e non solo nella classica ed evitabile “Karma Police”), essendo ormai i Radiohead giunti ad una massificazione completa del loro repertorio. Certo è più difficile cantare il sussurro con vocoder di “Kid A” (in versione fluttuante stra-to-sfe-ri-ca!), oppure le tre canzoni post-King che evidentemente in molti non conoscevano, e almeno lì il rispetto religioso che si dovrebbe alla voce di Thom Yorke è stato mantenuto. Delle tre “Staircase” è stata la migliore, con un finale toccante in quanto invocante, ma anche “The Daily Mail” (dedicata, come a Roma, “a Berlusconi”, mentre in altri Paesi veniva citato Murdoch…) ha subito riscosso approvazione da chi non l’aveva mai sentita. “Identikit” invece questa sconosciuta: canzone che ha, appunto, bisogno di un identikit, di una focalizzazione, in questo momento è solo un abbozzo direi mal riuscito.

Personalmente sono stato impressionato dalla forza e potenza di “Lotus Flower”, una song che dal vivo guadagna enormemente in bassi e sconquassa letteralmente lo stomaco, oltre che dalla riedizione magniloquente di “Planet Telex” (grande scelta!). Un discorso a parte va fatto per “You And Whose Army?”, la vera chicca del concerto fiorentino che ha rapito tutti nonostante Jonny Greenwood abbia evidentemente scazzato un paio di accordi prima dell’entrata del pianoforte.

Tutto questo è il racconto più o meno oggettivo della serata, e ora mi si perdoni una certa svisata più sul personale: il refrain che più mi gira in testa da ieri sera è che il concerto è stato bello, certo, ma che mancano troppe canzoni all’appello. Qui si tratta un argomento scottante, ovvero la voglia (legittima) di un gruppo di cimentarsi con il proprio repertorio più recente, per dimostrare di essere ancora “in ricerca” e non essersi abbandonati a rappresentare una cover band di se stessi, contrapposta alla altrettanto legittima aspettativa del pubblico di non vedere sacrificati sull’altare della contingenza pezzi su pezzi di album seminali come “The Bends”, “Ok Computer”, “Kid A”, “Amnesiac” e “Hail To The Thief”. Diciamolo una buona volta: alla lunga “In Rainbows” ha dimostrato una debolezza che all’inizio nessuno si sognava di pensare, e le canzoni ancor oggi suonate dal vivo sono quelle che mostrano più limiti, “Reckoner” in testa. Per assurdo “The King Of Limbs”, un disco che non è particolarmente amato dai fan più incalliti, ha guadagnato nel live, ma è chiaro che si tratta di un album non all’altezza dei cinque sopracitati.

Ma per questa mia paturnia la soluzione forse c’è e, siccome i Radiohead cambiano spesso scaletta, è semplicemente quella di andarsi a vedere anche la data di Bologna.

P.S. E quella prima strofa-ritornello di “The One I Love” dei REM fatta prima di “Everything…”… cos’avrà voluto dire? Credo un omaggio ai REM che non sono più, un doveroso, sentito, malinconico omaggio.

P.S.-II° Della breve esibizione da trip di Caribou, beh, c’è poco da dire: devastante, as usual.

(Paolo Bardelli)

Scaletta:
Bloom
There There
15 Step
Weird Fishes/Arpeggi
Kid A
Staircase
Morning Mr. Magpie
The Gloaming
Separator
You And Whose Army?
Nude
Identikit
Lotus Flower
Karma Police
Feral
Idioteque

Airbag
How To Disappear Completely
The Daily Mail
Bodysnatchers
Planet Telex
Give Up The Ghost
Reckoner
Everything in Its Right Place

24 settembre 2012

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *