Intervista ai Piano Magic

Nel camerino old-style del Bronson si inizia stappando un paio di birre con Glen Johnson che esprime la sua soddisfazione per la prima data della leg-italiana del tour di “Ovations”, nel nostro Live in Kalporz al Calamita di Cavriago (RE). Si prosegue parlando di X-Factor, The Horrors e poi, finalmente di Piano Magic, la sua enigmatica creatura giunta sotto un eccessivo “silenzio mediatico” all’ormai decimo LP in studio. LP che vede due illustri collaborazioni, quali quella di Brendan Perry e Peter Ulrich dei leggendari Dead Can Dance.


Inizierei in maniera inusuale, ringraziandoti perché due anni fa dopo un concerto mi avevi consigliato “West Coast” degli Studio (duo svedese, vedi anche 
news). Con un po’ di ritardo, insomma, grazie. Come va per il resto?

Bah…Guardavo il vostro X-Factor in tv. Veramente orribile. Spero che in Italia in pochi seguiate quella roba. Dal canto nostro noi abbiamo gli Horrors, ho visto che suoneranno qui al Bronson a breve. Un consiglio? Non andarci. Quando si dice fenomeno di plastica.


Il disco mi piace, però ho avuto modo di sentirli al Primavera Sound di Barcellona di quest’anno. E, sarà che suonavano subito dopo i My Bloody Valentine, la mia reazione più immediata è stata “Cazzo, alzate questi volumi!”.
Tornano a noi e parlando dei Piano Magic e di questo nuovo LP “Ovations”, viene a qualche mese di distanza dal vostro EP “Dark Horses”, eppure non sembra esservi alcuna relazione. Suonano veramente diversi.

Già. Ammetto di essere rimasto oltremodo deluso dalla resa del sound di “Dark Horses”. Ogni album cerchiamo di produrre un album e un EP. Questa volta credo che ci si sia affrettati troppo. Non mi piace il suono, mi piacciono le canzoni, dal vivo suonano bene e funzionano perché è tutto un altro discorso. Per certi aspetti è stato un crocevia nel senso che mi sono detto “Mai più dischi con un suono del genere”.

Questione di produzione? A “Ovations” siete tornati a lavorare con Gareth Parton (The Pipettes, The Go! Team, Foals, The Breeders)… Eppure quest’album, pur suonando cupo e crepuscolare come al solito, ha un’atmosfera ancora più gelida e funerea. Il suono è a tratti etnico, rimanda alla tradizione turca e ai balcani, e soprattutto ai Dead Can Dance. Credi sia una conseguenza della collaborazione con Brendan Perry e Peter Ulrich o, piuttosto, li hai tirati dentro perché volevi dare un’impronta del genere alle sonorità di “Ovations”?

Siamo sempre stati grandi fan dei Dead Can Dance, già prima di incontrarli. Io li ho visti nel 1984, mentre come Piano Magic li abbiamo visti quattro anni fa a Londra. Li ho visti quattro, cinque volte, sono tra i migliori di sempre. Quando abbiamo iniziato a scrivere “Ovations”, mi sentivo molto ispirato da loro e dalla musica tradizionale turca e dalle percussioni turche. Così abbiamo chiesto a Ulrich tramite myspace sulla possibilità di una collaborazione. Ha ascoltato i nostri pezzi, la nostra musica gli è piaciuta subito. E ha tirato in mezzo Brendan Perry per farlo cantare nel nostro nuovo album. Per me si è realizzato un sogno, Brendan, credo sia la voce maschile migliore al mondo. Almeno io la vedo così. Una scelta coraggiosa.


Ogni volta che qualcuno mi chiede cosa facciano i Piano Magic quando butto lì dei consigli, mi risulta drammatico delineare il vostro stile tra dark-wave, shoegaze, synth-pop, moltissime influenze che si amalgamano in uno stile così peculiare. Provo a consigliare “The Troubled Sleep Of Piano Magic” e “Disaffected” (recensione) che ritengo i due lavori più significativi, ma resta riduttivo. Come definiresti la vostra proposta musicale parlando con qualcuno che non ha idea di chi siate?

Odio lo shoegaze. Ho sempre detestato band quali gli Slowdive o i Chapterhouse. Sono vecchio abbastanza per ricordarmi quella scena e non ne potevo più. Loro sono fermi in piedi e si guardano le scarpe, noi non siamo così. Suoniamo, ci muoviamo sul palco (risate).


Eppure nelle chitarre avete qualcosa di simile…

Sì effettivamente nelle chitarre usiamo effetti non dissimili. Amo i My Bloody Valentine ed altre band che fanno qualcosa di estremamente figo con suoni di quel tipo.


E dunque? Che genere fate?

Ghost-rock (risate). La nostra musica è romantica, dinamica. Emozionale.


Emo? (risate)

Oh merda. Comunque emo qualche tempo fa significava Dinosaur Jr, i primi Lemonheads, ma dieci anni fa è diventato qualcosa di diverso.

C’è l’abitudine di associare il progetto Piano Magic a te. Quest’anno è uscito il tuo primo album a nome Glen Johnson, senza acronimi. In passato avevi usato Future Conditional e Textile Ranch. Perché così tanti nomi e tante maschere, quando i Piano Magic di per sé sono già qualcosa di molto multiforme e vario?

Penso di essere molto prolifico. Faccio musica di continuo, mentre i Piano Magic vanno più piano. Non posso aspettare il resto della band per fare un album.


Ci stai dicendo che gli altri membri della band sono più pigri?

Non sono pigri, sono francesi (risate). Tre su cinque sono francesi, anche se Angéle lavora più velocemente. Io sono frenetico. Lavoro molto velocemente. Quando non sono coi Piano Magic posso sempre fare 3 album in sei mesi. Senza problemi. Così è nato il progetto Future Conditional per musica più elettronica, Textile Ranch per roba più sperimentale. Ho scelto di usare il mio nome per roba più dark e introversa.


Vivi a Londra. Più generalmente in Inghilterra, non ti senti uno straniero per il vostro stile e il vostro approccio alla musica?

Non penso che dalle nostre parti tutti si sentano parte di una particolare scena.


Come se servisse essere parte di una scena per avere successo.

In Inghilterra se vuoi diventare qualcuno e avere successo devi avere dietro un’etichetta importante, vedi gli Horrors o gli Editors. Noi non ci siamo parte di questa sedicente dark-wave. Non abbiamo i loro soldi, non abbiamo le loro grandi etichette. Noi siamo molto più autentici.


A proposito di etichette, la Homesleep che ha distribuito il vostro precedente LP, “Part-Monster” (recensione) sta chiudendo i battenti. Ti senti di dire qualcosa a riguardo? Che idea ti sei fatto della scena italiana?

Mi piacciono i Giardini Di Mirò. Ci siamo conosciuti, siam diventati amici, erano al nostro show al Calamita di Cavriago ieri (video del Live in Kalporz qui youtube)… Penso sia molto complesso questo discorso. Avete un buon sistema rispetto alle agenzie dei concerti, non avete una buona industria discografica. E le etichette indipendenti non sono abbastanza forti. UK e USA hanno delle potenti etichette indipendenti, l’Homesleep c’ha provato ma evidentemente non è mancata soltanto la risposta del pubblico, quanto le risorse a disposizione per supportare determinati artisti. La gente guarda X-Factor. Come in Inghilterra dove credo sia lo show più seguito in tv. Plastica, showbiz, stronzate.


A proposito di questo, hai appena creato un’etichetta indipendente, la Second Language. Di che si tratta?

L’ho creata perché tra web e file sharing, la musica sta diventando sempre più usa e getta. E non credo che meriti di diventarlo. La musica è un arte, come un qualsiasi dipinto.Va accompagnata da qualcosa di più. Una bella copertina, un packaging degno. Senza dover pagare centinaia di euro per questo. Nella nostra etichetta realizzeremo tirature limitate, del tipo un centinaio di copie con uno speciale packaging, unico e introvabile nei negozi o su internet. Si può comprare solo di noi. Con 60 euro hai cinque album che ti arrivano in casa. Negli anni ’80 compravamo album della 4AD anche perché la confezione valeva quanto il contenuto. Vogliamo tornare a qualcosa del genere.

Un paio d’anni fa in un post-concerto mi avevi consigliato gli Studio. Avresti altri nomi sconosciuti da suggerirci?

Direi We Fell To Earth (myspace). Ci suona Richard File, un tipo che era con gli UNKLE, ma sono molto meglio degli UNKLE. Poi di più conosciuto direi the XX, Fever Ray e Gareth S. Brown.


Domanda inevitabile sul decennio che volge al termine. Tre album che hanno segnato gli Anni Zero.

“Vespertine” di Bjork”.


Patrick Wolf mi ha risposto la stessa cosa.

Siamo quasi la stessa persona. (risate) Scherzi a parte, è veramente un bravo ragazzo.
Comunque cazzo, stavo pensando che ho fatto dieci album in questi dieci anni. Altri album della decade…sicuramente “Amnesiac” dei Radiohead.


Non “Kid A”?

Mi piacciono tutti gli album dei Radiohead, ma penso che “Amnesiac” sia quel disco cupo che avrei sempre sognato di scrivere. E direi, sì, We Fell To Earth. Immagina un punto di raccordo tra Massive Attack e “Unknown Pleasures” dei Joy Division.