LE MAN AVEC LES LUNETTES, Plaskplaskabombelibom (My Honey Records / Zahr Records, 2008)

L’avventura dei bresciani Le Man avec les lunettes riprende direttamente da dove l’avevo abbandonata. Nulla che mi stupisca più di tanto, a essere sincero, per vari motivi: innanzitutto “?”, quelle dodici canzoni che l’anno scorso avevano fatto puntare l’occhio su questa delicata realtà della musica nostrana, era frutto di una pesca a destra e manca nella fortunata sacca riempita nel corso degli anni dalla band (Ep, singoli, split, compilation e chi più ne ha più ne metta).

Sarebbe interessante interrogarsi, in effetti, su quale debba essere considerato l’esordio sulla lunga distanza del combo lombardo: “Plaskplaskabombelibom” in questo senso ha le credenziali migliori per spuntarla. Tutti e nove i brani che compongono l’album, difatti, sono stati ideati, scritti e suonati in vista di questa uscita discografica – patrocinata, come il lavoro dello scorso anno, dalla Zahr Records -.

Il suono, e qui arriviamo alla seconda conferma che aspettavamo, permane ancora su direttrici ben definite: il pop inglese, con i Belle & Sebastian in testa (e quindi, nel gioco del riconoscimento e del ritorno ciclico della storia, ecco i rimandi al pop pacificato dei sixties, e blablabla), è l’universo nel quale sguazzano i Le Man avec les lunettes. E ci sguazzano talmente bene, che a volte è veramente difficile, anche per l’ascoltatore più smaliziato, riuscire a ricondurre le trame chitarristiche, i contrappunti di tastiera e l’utilizzo delle voci, a un prodotto “italiano”. Non che ci sia alcuna intenzione di fare una colpa di questo ai ragazzi, che sono altresì da applaudire in particolar modo per la capacità empatica ed emotiva della loro musica.

Nei momenti più ispirati dell’album (penso a “Apples” e “Se På Stjärnorna”) l’intreccio musicale riesce a creare vivide immagini di paesaggi nordici, malinconicamente spruzzati di pioggia sottile eppure vitali; una corsa alla purezza che appare improvvisamente tangibile, reale e non utopica. Quello che ancora manca, probabilmente, ai LMALL – questo l’acronimo che utilizzano loro stessi, e che quindi mi sento autorizzato a riproporre – è la capacità di staccarsi dal divertente, ma tutt’altro che privo di insidie, gioco dei rimandi e dei paragoni. Un gioco dal quale è fin troppo facile uscire sconfitti; visto che le carte in regola per riuscire a incidere il proprio nome sulla corteccia del rock ci sono tutte, e sono state anche in gran parte svelate, l’augurio è quello di vedere i LMALL prendere il coraggio a due mani (o a dodici, visto che sono in sei a far parte dell’avventura in questo momento) e intraprendere la loro strada senza ammiccamenti o sguardi complici verso il panorama che li circonda.

Per ora è giusto accontentarsi di un prodotto buono, ben suonato e sognante quel tanto che basta (“I Can’t Get Anything” è la buonanotte che tutti dovrebbero sentirsi sussurrare almeno una volta nella vita), perché il passato va compreso completamente e metabolizzato. Ma per il futuro questo non sarà più sufficiente. Come si suol dire: uomo con gli occhiali avvisato, mezzo salvato…

Ps. Proponiamo ufficialmente Plaskplaskabombelibom come scioglilingua del terzo millennio. Altro che “tre tigri contro tre tigri”.

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