STOOP, Stoopid Monkeys In The House (Prismopaco, 2008)

La storia degli Stoop è una storia universalmente umana: tutto cominciò con una scimmia. Evidentemente portafortuna. Il primo prodotto dell’insorgendo collettivo, non ancora denominato tale, fu infatti un cd per una personale dello scultore Michelangelo Galliani, nel gennaio 2003. Titolo dell’unico brano (lunghissimo e bellissimo): “Squeeze Monkey Nipples”. Aprile 2008: le scimmie sono diventate tante e molto più intelligenti, come nel famosa saga cinematografica, e una capeggia nella suggestiva copertina di “Stoopid Monkeys In The House” con tovaglia apparecchiata davanti e cibo in arrivo, a voler dire che si diventa padroni della propria casa. Musicale.

Gli Stoop lo sono davvero. Il primo album della band reggiana (che esce per la Prismopaco, nuova etichetta di Diego Galeri, storico batterista dei Timoria, ora nei Miura) è esemplare, un bignami di quello che dovrebbe essere il rock quando è contaminato, in particolare dalla musica delle praterie americane e da quella del diavolo di New Orleans, per andare oltre ai soliti clichè e agli inevitabili già sentito. Gli Stoop passano infatti con una disarmante facilità dal primitivo indie dei R.E.M. (“Fire On My Cheap Sunburn”) ad un roots meticcio che lega con sé vibrafoni, steel guitar e trombe (“Chupacabras & Fries”, “Sleeping Awake”) toccando corde di Morricone e John Cougar (!).

Come dei Calexico più incazzosi, i quattro non danzano davanti ad un solo monolito nero, piuttosto si fanno tanta strada in diverse direzioni, andata e ritorno. Un disco vario, come non se ne sentivano da un pezzo. E bello. Talmente bello che nemmeno chi conosceva gli Stoop poteva immaginare.

Basterebbe un pezzo così senza tempo come “Garbage In Space” per gridare quasi al miracolo, ma gli Stoop non hanno il braccino corto e in tanti altri punti di “Stoopid Monkeys In The House” si gode da dio.

Un disco culto istantaneo.

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