Questa è una non-news. Le due date dei Cure in Italia infatti sono sold out (Roma 29 febbraio, Milano 2 marzo) per cui forse fareste anche volentieri a meno che qualcuno vi ricordasse che non siete riusciti a trovare i biglietti.
Oppure, se li stringete forte in mano, potreste invece iniziare a pregustarvi insieme a Kalporz di risentire “Play For Today” e cantare “oooh oh ooooooh!” seguendo la tastierina come se si fosse ad un live di Ligabue e il cantautore della strutto-caster stesse suonando “Urlando Contro il Cielo”.
In realtà qualche notizia sui Cure si è avuta in questi ultimi giorni, ovvero che il loro nuovo album, a cui stanno lavorando dal 2006, dovrebbe finalmente uscire il 5 maggio ed essere un doppio. Viene subito in mente “Kiss Me Kiss Me Kiss Me”. Peccato che siamo abituati a diffidare molto dei dischi doppi: quasi sempre, scartando le immancabili canzoni riempitivo, ci sarebbe venuto fuori un bell’album singolo ma l’artista in questione si è ammalato della sindrome di “Sandinista” dimenticandosi che di gruppi come i Clash ce n’è stato solo uno. Per di più se la qualità sarà pari a quella di “The Cure” (2004), allora non arriveremo nemmeno ad uno buono, di dischi.
Per chi è cresciuto con Robert Smith e soci ed è diventato un buon adolescente giustamente depresso, ogni uscita dei Cure è una rinascita, o una ri-morte, comunque un appuntamento della vita, come la comunione o la cresima.
C’è ad esempio chi ha conservato lo scontrino (L. 15.000) di “Disintegration”, chi si ricorda esattamente l’aria di primavera di quando è uscito “Wild Mood Swings” (disco abbastanza tremendo, peraltro): Robertino Smith è il padrino di tanti, e se chi scrive fosse costretto a bruciare tutti i dischi che possiede tranne uno, beh, allora stringerebbe al petto “Disintegration”, appunto.
Ah, indiscrezioni dicono che il nuovo album potrebbe chiamarsi “4:13”.
Noi stiamo preparando il vestito dalla festa.
The Cure, “Play For Today” da “In Orange” (1986).
(Paolo Bardelli)
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