Summercase Festival 2007 (Barcellona) (13-14 luglio 2007)

di Luca Paltrinieri

Allora ci sono un inglese e un belga sull’autobus di ritorno dal Summercase di Barcellona.
L’inglese dice di essere venuto per vedere i Phoenix, il belga i Kaiser Chiefs.
Puah, dice il belga, i Phoenix sono dei borghesi di una zona fighetta di Parigi. Nulla a che fare con i Kaiser Chiefs e la loro energia proletaria.
Bah, dice l’inglese, per me sono francesi e basta, e hanno suonato bene. I Kaiser Chiefs sì che sono delle merde. E finti proletari. E per di più sono di Leeds!!
Bah, dice il belga, per me sono inglesi e basta, e hanno suonato bene.

Ognuno é venuto al Summercase per le proprie ragioni. Le mie erano The Flaming Lips. Ma alla fine il motivo per essere venuto si è chiamato Arcade Fire. E Jarvis Cocker.

Ma anche PJ Harvey, LCD Soundsystem, !!!, My Brightest Diamond. Di tutti questi, solo Arcade Fire hanno suonato in uno dei palchi principali. Gli altri, nei palchi piccoli, al chiuso. E al caldo. Nel Terminal S hanno suonato parecchi gruppi interessanti, il cui spettacolo si é visto pregiudicato, oltre che da temperature estreme, da un suono impastato che non lasciava percepire sfumature.

Il Terminal S é stata la pecca principale del Summercase 2007 di Barcellona. É un po’ una vergogna fare pagare tra i 90 e i 120 euro e non poter garantire una qualità sonora decente in tutti i palchi. Anche se poi l’offerta musicale ti sgonfia le vene del collo. In generale, la disposizione degli spazi ha sollevato qualche perplessità, soprattutto fra quelli che sono stati al Primavera Sound, anch’esso nel Parc del Fòrum, ma con una disposizione più intelligente degli ampi spazi.

Gli scenari più grandi sono stati all’aperto, il Terminal O e il Terminal E. Per arrivare al Terminal E bisognava attraversare il Terminal O, il che si trasformava in un’impresa, durante i concerti affollati.

Per il resto, per me che l’anno scorso ero stato al Summercase di Madrid, solo note positive. Non più un’ampia e ardente spianata di ghiaia e polvere, nel bel mezzo del nulla, bensí uno spazio (di cemento, ma) con vista sul mare e una gradita brezza fresca che quando si stava all’ombra arrivava anche nelle ore calde della giornata.

Festivals 2.0
Il Summercase quest’anno ha radunato più di 100.000 persone, decisamente di più rispetto alla prima edizione.

E sono 100.000 persone preparate: sanno le canzoni a memoria, e non vedono l’ora di dimostrarlo sgolandosi cantando tutti il ritornello in coro. C’è chi già inizia a cantarlo al sentire i primi giri di batteria. A volte l’impressione è che le canzoni funzionino come climax in vista del ritornello in cui tutti cantano in coro. È come il web 2.0: anche qui tutti vogliono partecipare. E nel buio della notte musicale le luci di un tempo degli accendini sono sostituite adesso dagli schermi LCD di cellulari e macchine fotografiche digitali, per catturare immagini che saranno prontamente trasferite su un blog o su siti come Flickr (dove in effetti si potevano trovare una pioggia di foto del Summercase già dai giorni inmediatamente successivi).

Prima di arrivare ai palchi si trovano stands per venire incontro agli interessi di noi ggiovani d’oggi: oltre all’immancabile merchandising di magliette & c., c’è uno stand di “Urban Vinyl Toys”, uno stand per giocare alla Playstation con Guitar Rig, due stands con CD a 10 euro da due case discograsfiche spagnole indipendenti come Sinnamon Records (sono gli organizzatori del Festival) e Houston Party Records. Ci sono anche stands di Amnesty International e Oxfam per i piú impegnati.

La musica
Il fatto che i concerti spesso si sovrappongano, per lo meno in parte, marca una importante differenza tra un Festival e un concerto “monografico”. L’obbligo di farsi una tabella di marcia porta a vedere moncherini di concerti, senza inizio e senza finale, e non sempre c’è la concentrazione desiderabile. Di tanto in tanto un occhio va all’orologio. Ma l’occasione di vedere in una sola botta un gran numero di artisti vale un piccolo scotto.

Il concerto di Arcade Fire – che ho visto completo – è stato il migliore. Non dico di più, perchè già vi potete leggere una recensione dello stesso concerto, a Ferrara. Sono un’ottima band, compatta ed energica, con un gran orecchio per melodie originali. E suonano con convincente passione.

Jarvis Cocker vince la palma per lo show più coinvolgente e meno asettico. È un vero entertainer, salta e si muove in modo teatrale e tra una canzone e l’altra improvvisa sempre qualche commento, una piccola gag senza senso, “I am just talking rubbish” dice lui, ma sotto il suo aplomb si vede che la musica è la sua passione e cerca di rendere frizzanti le sue performances. Per divertirsi lui, indubbiamente. Per fortuna che noi ci divertiamo con lui, e forse anche piú di lui. I brani del suo “Jarvis” convincono anche dal vivo. Snocciola una dopo l’altra “Fat Children”, “Don’t let him waste your time”, I will kill again”, “Heavy Weather”, “I will kill again”. Nessuno spazio alle canzoni dei tempi dei Pulp, però non se ne sente la mancanza. Conclude lo show una inaspettata e divertente versione di “Eye of The tiger” dei Survivor.

Flaming Lips mi sono piaciuti, è bello lo spettacolo che montano fin dall’inizio (potete leggere anche in questo caso la recensione di un concerto analogo tenuto a Ferrara). E i molteplici strati di suono del loro pop psichedelico rendono bene dal vivo. Mi aspettavo peró che mi sarebbe piaciuto di più, ma forse questo è dovuto al fatto che Wayne Coyne aveva ben poca voce. E si è notato. Ciononostante ha cercato di non risparmiare troppo le corde vocali e ha regalato molte delle canzoni più conosciute al pubblico, che canta in coro con lui “Yeah Yeah Yeah Song”. Il giorno dopo avrebbe dovuto cantare al Summercase di Madrid, non so come abbia fatto.

Musica al forno
Nel pessimo Terminal S si sono visti e sofferti (per il caldo e la pessima acustica) ottimi spettacoli.
PJ Harvey si è presentata da sola, con uno spettacolo intenso, passando senza soluzione di continuità dalla chitarra elettrica alla tastiera. Non ci si rendeva neanche conto che non c’era una band a spalleggiarla. Riempiva abbondantemente lo scenario con i suoi suoni e la sua presenza scenica, inguainata in un bianco vestito d’epoca. E pensare che ci sono stati gruppi negli spazi principali che neanche con un combo al completo sono riusciti a sollevarsi dalla mediocrità (l’esibizione Bloc Party ne è un buon esempio).

LCD Soundsystem e !!! hanno rinverdito i fasti del cosiddetto dance-punk, che è poi nient’altro che un assai gradevole – se ben riuscito – pop danzereccio. Entrambi, come molti altri gruppi degli ultimi anni tipo “The Raptures”, saccheggiano in cerca di ispirazione la musica della New York dei primi ottanta. Si vede che conoscono a memoria il catalogo di un’etichetta come “Ze records”, fondamentale per la neo wave più ballabile.

Tra le sorprese del festival il concerto di My Brightest Diamond, di cui ho visto solo una parte. Spinto dalla curiosità mi sono allontanato un momento dal concerto di James, e ho potuto cosí vedere un’esibizione con più carica e freschezza rispetto al gruppo di Manchester. A volte i gruppi nuovi che stanno facendo la loro (oggigiorno corta) gavetta hanno un’energia che gruppi più scafati hanno dimenticato. La formazione si presenta come un trio con batteria, basso, e la cantante alla chitarra. I tre pezzi che sono riuscito a vedere sono stati veramente potenti: mi ha ricorda abbastanza da vicino la verve e le caratteristiche vocali di PJ Harvey. Siamo lontani dall’immagine di musica bucolica che mi sarei aspettato – e che alcune canzoni del disco fanno presagire.

Altri gruppi – in pillole.
Il Summercase è un ottimo supermercato di musica per le orecchie. Si passa da un reparto all’altro, alla ricerca di suoni adatti per il proprio palato. E qualcosa sempre si trova, con una scelta cosí ampia e alla fine pure diversificata.

Gli Air hanno proposto uno show onesto, anche se la mia curiosità di vedergli suonare il koto dal vivo non è stata soddisfatta. Dunkel e Godin sembrano statue da quanto poco si muovono, probabilmente loro stessi sprofondano nello stato ipnotico in cui inducono il loro pubblico. Qualcuno anche si addormenta, prima del bel crescendo finale, che inietta quel poco di spina dorsale che forse è mancato al loro set.

C’era interesse generale e un folto congregarsi di gente per due vecche glorie come i James e Jesus and the Mary Chain. Avendo ora avuto occasione di vedere entrambi, sono soddisfatto così e non credo di avere motivi per andarli a sentire un’altra volta in futuro.

Le due canzoni che sono riuscito a sentire degli Editors mi sono piaciute: il cantante ha una gran voce, anche dal vivo ha lo stesso timbro magnifico che su disco.Badly Drawn Boy ha fatto un’esibisione gradevole e senza sorprese, come – a parte la diferenza di livello – Lily Allen. La ragazzetta dall’accento cockney non sembra meritare del tutto le accuse di flop: in fondo è riuscita a sfornare tre o quattro bei brani, anche divertenti nelle liriche, e dal vivo non fallisce – anche se un suo concerto non è affatto un’esperienza imperdibile.

Il concerto con cui si è concluso il Summercase 2007 a Barcellona è stato il set di Chemical Brothers, cui ho assistito nel posto dove andavano visti: in mezzo alla bolgia, quasi sotto al palco. Cercando di schivare le braci della sigaretta che agitava la ragazza che ballava di fianco a me, e cercando di mantenere una distanza di sicurezza tra il mio naso e la testa che scuoteva avanti e indietro la persona cinque centimetri davanti a me.

Fortunatamente quest’anno hanno optato per un’elettronica vicina al Big-beat, ottenendo uno spettacolo molto godibile, decisamente meglio della tecno del Summercase 2006. Complice anche il connubio tra elettronica e sonorità pop del loro nuovo disco “We are the night”. Da “All Right Reversed” a “Hey Boy Hey Girls”, hanno fatto ballare con i loro hits il folto pubblico. Hanno cominciato poco dopo le tre e mezza di mattina, ma il grande spazio a disposizione era completamente stracolmo di gente. Tom Rowlands e Ed Simons avevano alle loro spalle quattro strutture di racks più alte di loro, ricolme di racks. I suoni più organici ed un Vj set azzeccato e interessante me li hano fatti decisamente rivalutare: sono tornati ai livelli di qualche anno fa.

É un peccato non riuscire a vedere non dico tutto – impossibile – ma per lo meno tutto quanto mi ero riproposto. È comunque impossibile. Però il dolore ai piedi ammonisce che non c’è ragione di essere avidi, sono pur sempre stati due giorni di musica continua, dalle sette di pomeriggio fino alle quattro e mezza di mattina. Siamo soddisfatti cosí. Per lo meno fino al prossimo Festival.

!!!
1990s
2manydjs
Air
Arcade Fire
Alex Torío
Astrud
Badly Drawn Boy
Belle & Sebastian
Bloc Party
Bromheads Jacket
The Chemical Brothers
DJ Shadow
Dragonette
Editors
Electrelane
Felix Da Housecat
Fionn Regan
The Flaming Lips
The Glimmers
The Gossip
Guillemots
The Hidden Cameras
The Hours
James
Jarvis Cocker
The Jesus And Mary Chain
Kaiser Chiefs
LCD Soundsystem
Lily Allen
The Maccabees
Mika
My Brightest Diamond
OMD (Orchestral Manoeuvres in the Dark)
Perry Blake
Phoenix
The Pigeon Detectives
PJ Harvey
Ratatat
Scissor Sisters
Soulsavers & Mark Lanegan
The Sunday Drivers
The Twang
The View