Intervista a Ginevra di Marco

Tenco 2007E’ una serata importante per il Calamita. Il pienone di gente è di quelli giusti, l’attesa è abbastanza palpabile, il ritorno di Ginevra Di Marco atteso.

Prima però, tra la cena alla “Capra” (nota trattoria cavriaghese dal nome già evocativo) e l’inizio del concerto, Ginevra ha accolto ben volentieri l’invito a rispondere a qualche nostra domanda. Questi sono gli appunti delle sensazioni che ci ha raccontato.

Era inevitabile che la tua voce incontrasse la musica popolare? Sembra che vi siate annusati un po’, penso ad “Ederlezi”, fino ad arrivare a queste “Stazioni Lunari”…

“Probabilmente ci sono stati degli agganci che venivano da più lontano. Ci siamo chiesti con Francesco Magnelli se questo interesse per la musica popolare ci fosse anche nei tempi di C.S.I., in qualche maniera. E’ probabile. Con “Ederlezi” c’è stato un primo approccio, nel frattempo ci sono state interruzioni di rapporti, gruppi sciolti, ma in realtà tutto è successo con “Stazioni Lunari”, questo spettacolo ampio in cui la musica si è aperta ai nostri occhi in una grande espressione di sé. Abbiamo riscoperto canzoni e interpreti, insieme anche a tutti gli artisti che hanno partecipato a “Stazioni Lunari”. Mi sono ritrovata ad interpretare canzoni che non mi sono andata a cercare ma che mi sono arrivate vicino, e ci ho preso un gran gusto!”

Ci sono state delle canzoni o culture che hai voluto fortissimamente mettere nel disco?

“In partenza un’attrattiva forte è arrivata con il viaggio che feci con i C.S.I. a Mostar. Lì ho sedimentato un po’ di interesse per la cultura balcanica in genere e per certe modalità di canto tradizionale che hanno loro, canti di festa, per stare insieme. Poi da lì in realtà non ho fatto degli studi, ma ci sono state come ho detto una serie di canzoni che mi si sono avvicinate da sole”.

Beh, avrai dovuto studiare poi le lingue delle canzoni…

“In realtà non ho studiato quanto avrei dovuto perché è stato un approccio molto spontaneo e diretto. Ci sono un sacco di sfondoni nel disco a livello di pronunce ma mi interessa relativamente. Il fatto di avere musicalità ti aiuta con le lingue a livello di orecchio. E’ stato un viaggio molto naturale e puro”.

Mi capita a volte di avere delle “fisse” per certe canzoni: cosa mi dici di “Elianto” in “Acau” di Maroccolo? C’è qualche storia dietro a quella interpretazione speciale e a quel testo semplice ma sofferto?

“Elianto” è una storia particolare, molto contraddittoria. E’ un pezzo che ho amato moltissimo arrivato in un momento di grande confusione umana. “Acau” è stato abbastanza sconvolgente, perché determinava un sacco di bellezze da una parte e la rottura di altre dall’altro lato. E’ stato un periodo in cui non sei tanto padrone di te stesso, un periodo tosto. Però sono legata a quella canzone perché il testo l’ha scritto il chitarrista che suonava con me prima, Massimiliano (Gambinossi, n.d.i.). E’ un testo che io amo molto perché ha un aggancio al pensare come quanto spesso si possa confondere l’amore con tante altre cose che ci sono intorno. A volte chiamiamo amore ciò che non propriamente è, ma questo purtroppo lo si capisce solo col tempo e con l’esperienza. Mi serviva in quel momento cantare qualcosa che mi ricordasse che si fa presto a dire amore, che non è tutto ciò che ci luccica vicino ma forse prevede anche una certa sorta di sacrificio e fatica”.

Si parla tanto della contrapposizione uomo/donna. Come ti piacerebbe fosse descritto il tuo essere donna nel panorama musicale italiano, quale aspetto sottolineato?

“Io sento che ciò che mi attrae è il lato più terreno. Il fatto di stare sul palco mi piace relativamente, mi piace avvicinare la gente più che posso. Sto cercando di portare la mia carriera sempre più in basso invece che sempre più in alto. Ho una sete di rapporti, di sorrisi, di buona disposizione, di cercare di stare bene con quello che si ha, far sì che la musica ci faccia stare bene. Mi piace pensarmi come una vicinanza, una voce terrena, una voce materna, amichevole, confortevole”.

C’è qualcosa che ti manca delle esperienze C.S.I./P.G.R.?

“Mi manca Giovanni, dal lato più umano. Non ci siamo più visti e sentiti da quando si sono sciolti i P.G.R., probabilmente poi perché le cose vanno lasciate decantare per conto loro, però credo che ci vogliamo un gran bene da lontano. Mi manca lui come persona, andarlo a trovare, andare in montagna da lui. Non tanto il lato artistico o musicale, riguardo al quale comunque ho pensato tante volte che avremmo potuto fare altro insieme, anche se è pur vero che se non si è verificato forse la storia era finita lì. I problemi comunque non sono stati tra me e Giovanni, per cui in realtà è stata un po’ una costrizione separarmi da lui. Ma ci rincontreremo, io penso che prima o poi succederà”.

Quali sono invece le esigenze che senti per l’immediato futuro?

“Non mi sono mai sentita bene a cantare come in questo disco, in cui ho scoperto delle corde di me che ancora non erano venute fuori. Mi è successo quasi di raccontarmi attraverso i canti di altri, come se venissero a dirmi qualcosa di me stessa. Nel fare un concerto come quello di stasera mi viene un cuore così perché spazio in diecimila timbriche, tonalità, sapori, significati che accomunano le persone perché hanno dei codici primordiali che riguardano tutti. Ai concerti la gente viene molto coinvolta da una forza che sembra venire dai nostri nonni, ce l’abbiamo addosso, sotto pelle, e questo è bellissimo, me la sto godendo da matti! Essendo stato il primo esperimento in cui mi lanciata con grande spontaneità, mi piace poter navigare ancora in queste acque, andare a cercare altre cose da interpretare perché… mi fa stare bene! Sono le mie corde. La musica popolare-tradizionale è infinita, credo che ci navigherò ancora un po’ dentro”.

(Paolo Bardelli)