RADIOHEAD, “Pablo Honey” (EMI, 1993)

pablo honey radioheadA dieci anni di distanza dall’uscita del singolo “Creep”, primo successo commerciale dei Radiohead, è difficile parlare di un album come “Pablo Honey”. Più dei dieci anni pesano infatti i dieci secoli musicali attraversati dalla band di Oxford, approdata prima sulle sponde di un rock distorto aperto a ballate acustiche incredibili in “The Bends”, poi su quelle della psichedelia decadente di “Ok Computer” infine approdata al dittico “Kid A/Amnesiac” che mescola techno, acustica, jazz.

E l’esordio? E l’esordio è “Pablo Honey”: gli strumenti sono ancora i classici chitarra, basso, batteria e (ogni tanto) pianoforte, la musica proposta è rock con sfumature pop, figlia al contempo degli U2 di Bono e dei mitici Smiths di Morissey. Ma sarebbe un errore grave restringere l’intero album ad un semplice elogio delle qualità di “Creep”, ballata di prima grandezza, pura, eterea, con un testo meraviglioso (“I want a perfect body, I want a perfect soul”).

C’è altro da notare, non fosse altro perché i Radiohead sanno suonare, eccome se lo sanno fare. Spesso le canzoni vivono sulla sottile linea che divide la calma dall’irruenza, come nel brano d’apertura “You”, nella rumorosa e travolgente “Anyone can play guitar” o nella semplice “Ripcord”. E quando non è così il lato pop prende il sopravvento, tranne in casi sporadici come la caustica “How do you?”. Il pop dei Radiohead è comunque di ottima fattura, anche se si notano delle flessioni d’ispirazione in “Thinking About You” e nella già sentita “I Can’t”. Splendido al contrario l’incedere di “Stop Whispering”, “Vegetable”, “Prove Yourself” e “Lurgee”.

Anche se il vero gioiello è nascosto proprio alla fine, a chiusura: “Blow Out” è un vero e proprio piccolo capolavoro, brano rock mascherato da una sottile tela di bossanova, pronto comunque ad esplodere nella distorsione finale, con la voce di Yorke che si eleva al di sopra di tutto. Dimostrazione ineccepibile della classe e dell’intelligenza di Thom Yorke, Jonathan Greenwood, Ed O’Brian, Colin Greenwood e Phil Selway.

E poi, è vero, ascoltato a distanza di anni l’album è decisamente offuscato dalle glorie che lo hanno seguito, ma in tutta sincerità, detto tra me e voi: ma quante volte è stato possibile apprezzare così tanto un album d’esordio?

23 maggio 2002

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