SMASHING PUMPKINS, Greatest Hits (2 CD, Virgin Records, 2001)

E cala definitivamente il sipario sugli Smashing Pumpkins, forse la rock band che negli anni ’90 ha raggiunto più facilmente le masse (insieme ai Nirvana). Lo scioglimento, preteso dal dispotico leader Billy Corgan, viene sancito da un album doppio, suddiviso in due parti ben distinte: il primo cd, intitolato “Rotten Apples” è un semplice greatest hits, raccolta dei brani più celebri della storia del gruppo; il secondo, “Judas O”, è invece una collezione di b-sides con alcune rarità aggiunte.

Tutto sembra quindi presupporre un delizioso piatto da gustare con calma. Il greatest hits percorre cronologicamente la storia della band, formatasi a Chicago nel 1990 con una line-up particolare: Billy Corgan, paffuto ragazzetto della middle-class cresciuto col mito dei Pixies, alla chitarra e all’esile voce (che imita quella di Black Francis), James Iha, nippo-americano silenzioso alla chitarra solista e D’Arcy, bionda ragazza dai lineamenti esteuropei al basso. A condire il tutto la batteria elettronica (che verrà sostituita dal secondo album dalla batteria di Jimmy Chamberlain). Rapidamente il gruppo passa dall’anonimato e dai piccoli club alle grandi platee internazionali.

E rapidamente si susseguono i brani sul cd, da “Siva” alle eccezionali “Cherub Rock”, “Today” e “Disarm”, perle estratte dal secondo album, “Siamese Dream” che anticipa l’immaginifico e celeberrimo “Mellon Collie”. Viene presentata anche “Eye”, canzone scritta per la colonna sonora di “Strade perdute” di David Lynch (i Pixies suonavano dal vivo “In Heaven”, tratta dal film d’esordio di Lynch, “Ereserhead”…strana coincidenza). Con “Ava Adore” e “Perfect” viene superato di slancio il periodo di Adore, che segnò le prime crepe all’interno del gruppo. Crepe evidenziate con l’abbandono di D’Arcy subito prima della pubblicazione di “Machina. The Machines of God”. La sostituzione con l’ex bassista delle Hole servirà solo a permettere una trionfale tournée finale.

Poi il nulla…o meglio, il cd 2, raccolta di brani semisconosciuti o addirittura inediti, non tutti riusciti (ovviamente) non tutti ispirati, ma che presentano, soprattutto negli episodi più trattenuti (“My mistake”, “Sparrow”, che presenta strane sonorità quasi “alla Radiohead”) una band intelligente e con un leader forse più fragile di quanto si fosse mai supposto, un bambino mai troppo cresciuto che, avendo avuto in mano il gioco troppo a lungo ha finito per romperlo, pronto però a sostituirlo con un altro (Corgan ha già formato una nuova band, gli Zwan). I brani alla fine scorrono via facilmente, non sorprendendo più di tanto (le sonorità finiscono per ripetersi, come già nell’ultimo album in studio) e mostrando, più che la vena di rock distorto, una vena pop da alta classifica. Un addio che rispetta i canoni, senza permettersi slanci eccessivi ma senza deludere più di tanto. Lasciandomi consapevole della verità non palesata: gli Smashing Pumpkins erano morti dopo “Adore”. L’agonia è durata troppo.

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