Hope At The Bus Stop, 7 tracce alla scoperta delle loro ispirazioni

Gli Hope at the Bus Stop si formano a Padova nel 2013 come duo di cantautori, prima di trasformarsi in una band completa, gradualmente, tra il 2014 e il 2015. Dopo aver pubblicato due EP con l’etichetta indipendente Iohoo Records, ottengono passaggi radio locali e aprono concerti per artisti italiani come Mesa e Roberto Dell’Era. La band arriva al debut album,“And a Thousand Other Things”, uscito su Costello’s / Artist First rafforzando ed affinando influenze e identità, che vedono le proprie radici nell’alt-americana e nel folk-rock di ispirazione Americana.
Se vi piace la musica d’autore di Big Thief e The National apprezzerete le loro suggestioni.
La band si racconta attraverso ispirazioni, in 7 tracce…

Radiohead, “2+2=5” link
Brano in apertura dell’album del 2003 “Hail to the Thief”. Continua a emozionarmi dopo anni dal primo
ascolto per elementi che poi cerchiamo anche noi di inserire nelle nostre canzoni: la struttura in continua
evoluzione senza soffermarsi su una sezione in particolare (Floating Around), le armonizzazioni durante la
prima parte del brano e la potenza del climax ritornello.

Fiona Apple, “Not About Love” link
Fiona Apple l’ho riscoperta recentemente grazie al successo riscosso dall’ultimo album (“Fetch the Bolt Cutters”). Di lei mi hanno colpito la tangibile urgenza d’espressione e la FOL GO RAN TE tecnica al piano con la quale veicola le sue performance. In “Not About Love” ritrovo questa caratteristica associata a una melodia nervosa e schizofrenica.

Biffy Clyro, “My Recovery Injection” link
I Biffy Clyro sono una delle band che negli ultimi vent’anni ha meglio saputo trovare un compromesso personale tra una melodicità anche molto immediata e una certa sperimentazione di discendenza post-rock e math-rock. Questa stessa convivenza di opposti è sempre stata senza dubbio anche una nostra tentazione e ambizione.

The Incredible String Band, “Koeeaddi There” link
Molti nostri pezzi parlano di scenari immaginari, astratti, di fantasia. Ecco una band molto “avanti” che ha saputo coniugare un bisogno enorme, quasi patologico di escapismo (in paesaggi inventati e in suggestioni del passato) con un’inesauribile inventiva ma anche rigore “filologico” nello studio delle fonti (la ballata medievale, la strumentazione associata a certa musica popolare araba piuttosto che cinese).

Arctic Monkeys, “One Point Perspective” link
Una delle band del cuore, gli Arctic Monkeys ritornano nel 2018 con questo gioiello ripescato dagli anni 70. I suoni sono quelli giusti al posto giusto, l’immaginario è futuristico e passato al tempo stesso, lo storytelling è accattivante. Questo tentativo di trovare nuove soluzioni di scrittura negli scontri tra immaginari è una cosa che rubiamo di buon grado.

Townes van Zandt, “Tecumseh Valley” link
Il grande cantautorato degli anni ’60 e ’70 è senza dubbio un’enorme influenza. Townes van Zandt è a mio giudizio una delle figure più forti e in proporzione più sottovalutate di tutto quel macroperiodo.

Johnny Flynn ft. Laura Marling, “The Water” link
Loro, enfants prodige del movimento nu folk degli anni 2000, la canzone è semplice e ipnotizzante. Impossibile distaccarsi dalla bucolica immagine del duo seduto su delle sedie da giardino in ferro battuto, immersi nel verde di una villa inglese mentre ci cullano con una nostalgica melodia a due voci. (da vedere il video)