RONIN, “Bruto Minore” (Black Candy, 2019)

Non è un torto alla musica dei Ronin affermare che anche con “Bruto Minore” li si riconosce al primo ascolto. Tutti strumentali, polveri western da Morricone ai Calexico più free form (“Capriccio”), prove di colonne sonore e strati di corde accarezzate, ma sanguinanti senza violenza alcuna. Il titolo e il sostrato narrativo prendono vita da un Canto di Leopardi dedicato al suicidio di Marco Giunio Bruto dopo l’omicidio di Giulio Cesare e, da qui, la celebrazione interiore del moto eroico in chiave romantica, del gesto estremo d’amore compiuto in nome della libertà che porta comunque ad una sconfitta.

Non solo la cover degli Hun-Huur-Tu, “Tuvan Internazionale”, ma anche “Wicked” rimandano ad una visione da world music molto personale e il contributo a chitarre e violino di Nicola Manzan impreziosisce la trama sonora ad opera del “solito” Bruno Dorella, Roberto Villa e Alessandro Vagnoni. Il fraseggio è costante sospensione tra jazz di frontiera, punteggiature di classicità e rimandi continui alla cifra stilistica chiara e coerente di poco su. Non si tratta di un disco di sorprese, soprattutto per gli ascoltatori di lungo corso, ma è uno di quei dischi che fa bene all’anima che lo si ascolti spensierati o concentrati a carpirne ogni segreto.

75/100

(Giampaolo Cristofaro)