ANGELO DE AUGUSTINE, “Tomb” (Asthmatic Kitty Records/2019)

Un bisbiglio può essere assillante o addirittura più potente di grida, strepitii e devastazione?

La risposta, fortunatamente, non dobbiamo trovarla in nessuno studio scientifico o saggio, è necessario semplicemente ascoltare Angelo De Augustine nel suo nuovo album “Tomb”.

Davanti ad una delusione, ad una lettera di addio e alla chiusura di una relazione, il cantautore risponde con un lavoro in cui ci si perde in texture di suoni delicatissimi.
Le prime idee usate per realizzare il disco sono state catturate dal cantautore in un momento di stasi passato in vasca da bagno, con l’uso di un registratore a bobina.
L’approccio lo-fi è stato valorizzato, passando tra le mani incredibili di Thomas Bartlett, che è andato a puntellare ogni elemento aggiuntivo oltre alla voce e alla chitarra di Angelo.
Il surplus di strumentazione e effettistica si integra con estremo rispetto dell’idea di musica di De Augustine e anzi crea una parete sonora in più che regala qualcosa di nuovo e mancante nei precedenti lavori.

Il disco può essere visto come punto di svolta e si lega, in un certo senso, a alcuni dischi di Sufjan Stevens o a “For Emma, Forever Ago” di Bon Iver.
C’è infatti la capacità di Angelo di circoscrivere il suo periodo buio e far riemergere da un “bosco” esistenziale una luce di speranza che si distende anche nei momenti più cupi del disco.

La lieve, e unica, critica può essere mossa per degli elementi che ormai si mostrano a cavallo tra il marchio di fabbrica e l’autocitazione: i falsetti spinti, le chitarre pizzicate e i pianoforti che si aprono in accordi struggenti, infatti sono ingredienti che ormai contrassegnano (eccessivamente?) le produzioni dell’Asthmatic Kitty Records.

Canzoni come “Tide” riescono a farci intingere in un clima claustrofobico, spezzante che gioca su un clima di esasperazione per farci trovare una via d’uscita, ogni brano è un metterci davanti ad una scelta (in modo più efficace di qualsiasi puntata di Black Mirror).
L’analisi del sentire i propri bisogni in simbiosi con un’altra persona è puntuale, anzi al limite del fastidioso. Il racconto dell’amore è puntuale, mai scontato, sentito, insomma Angelo De Augustine ci mostra come si scrive un disco di canzoni che raccontano una storia personale fatta di sentimenti, mancanze e ricerca.

L’esplorazione di De Augustine parte da un suono minimale, essenziale dove ogni pennata sulla chitarra incide come un taglio su una tela.

Bartlett alla produzione, che ha collaborato anche con Rhye, St. Vincent e Sufjan Stevens, è riuscito a mantenere nel loro scrigno lo-fi tutte le intenzioni che hanno costruito “Tomb”.

“Tomb” è una rarità e come ogni singolarità è difficile prevederne il futuro e le conseguenze.
A sentire la parola singolarità, viene in mente il Big Bang, ma personalmente credo che la realtà del disco sia estremamente localizzata e centrata nel luogo in cui “Ramon”, in “Per un Pugno di Dollari”, doveva mirare: “Al cuore”.

74/100