Roger Waters, Unipol Arena, Casalecchio di Reno (BO), 22 aprile 2018

Roger Waters è un personaggio fuori dalle ere, si sa. Lo si comprende ancora di più a pensare che il nostro ha ben 75 anni, e con tanta età sul groppone ci tiene farsi questi tour oceanici e mondiali invece che starsene a casuccia a godersi la fama e i ricordi. Perché? Perché evidentemente vuole trasmettere ancora qualcosa, oggi. E’ questo il messaggio che Waters ha comunicato nel suo concerto ieri sera, a Casalecchio. O meglio è quello che ha raccolto il sottoscritto. Non vorrei infatti stilare un compito report live canzone per canzone, per questo i lettori avranno la possibilità di attingere migliori informazioni da altre fonti, ma collocare questo concerto nell’ambito dell’epopea dell’ex cantante-bassista dei Floyd.

Un personalissima premessa è d’obbligo: ho visto Waters nel 2006 all’Arena di Verona, in cui suonò tutto “The Dark Side Of The Moon” di filato, e nel 2011, tour di “The Wall”. Ho superato pertanto l’emozione del trovarsi al cospetto dei classici dei Pink Floyd suonati dal suo padre effettivo, quell’emozione che è stupore e magia allo stesso tempo. E da questa mia posizione posso dire che i momenti più emozionanti del concerto di ieri sera sono state le canzoni dell’ultimo “Is This The Life We Really Want?”, perché se è vero che altre canzoni sono state eseguite bene, nulla da dire, è in quelle che sono le ultime songs composte che Waters ha posto un pathos particolare, una scintilla di trepidazione, una luce più vivida. “The Last Refugee” su tutte, filo conduttore forte del live attraverso quell’immagine fissa iniziale, a concerto da iniziare, di una figura che guarda l’oceano in spiaggia che poi veniamo a comprendere sia la ragazza del video, quella che balla in tempo di guerra ricordando il danzare quando si era in pace. Una donna che è anche madre che ricerca nel video la figlia persa o dalla quale è solo divisa, e della quale ritrova solo un orsacchiotto. Ma quanti artisti contemporanei hanno affrontato/cantato questo che sarà uno dei drammi per cui saranno identificati questi anni? Non sono un appassionato degli artisti impegnati, credo che un artista debba semplicemente fare arte che quindi non è necessariamente politica, anzi è residualmente politica. Però occorre prendere atto della realtà dei fatti: Roger Waters, un 75enne, è uno dei pochi artisti che si è misurato con questa emergenza di cui noi siamo spettatori inermi, giorno dopo giorno, sbarco dopo sbarco, bombardamento in Siria dopo bombardamento.

Waters registra questo nostro scoramento, questa impotenza in cui ci sentiamo colpevoli (oppure alla quale siamo semplicemente non interessati, potremmo dire quasi menefreghisti), e non ci dà risposte, semplicemente la canta, sente la necessità di non far finta che tutto questo non esista. Il concerto di Bologna diventa pertanto strumento di miglior comprensione dell’attualità di “Is This The Life We Really Want?” che in fase di recensione avevo attribuito unicamente alle domande universali umane che sono sottese alle liriche dell’album e della poetica watersiana in genere. No, Roger Waters, un 75enne, è attuale perché parla di rifugiati quando nessuno lo fa, ecco, anche questo.

Le ulteriori invettive contro Trump, molto chiare associate alla canzone “Pig”, e contro i signori della guerra, sono la cornice del messaggio watersiano attuale, quello per cui Roger sente di non dovere stare a casa a fare giardinaggio. Un messaggio per le nuove generazioni, perché “il nostro pianeta è solo nostro” e quindi deve essere impegno di tutti fare sì che sia accogliente per il maggior numero di persone, nel futuro. Per questo Waters fa intravedere, alla fine, riproponendo l’immagine della mamma che guarda l’oceano, che la stessa sta abbracciando una bimba. L’ha ritrovata. E’ solo un momento, poi la rimette sotto la giacca e la nasconde ai nostri sguardi. Come a dire che è tutto molto effimero, e che le cose e persone care bisogna proteggerle con cura. Ma c’è speranza.

La stessa che nasce dal messaggio recapitato nei bigliettini che esplodono nel cielo durante il finale di “Comfortably Numb”: “RESIST!”.
Noi resistiamo, Roger, abbiamo ulteriori motivazioni per farlo, un po’ grazie anche a te.

(Paolo Bardelli)

SETLIST:
Speak to Me
Breathe
One of These Days
Time
Breathe (Reprise)
The Great Gig in the Sky
Welcome to the Machine
Déjà Vu
The Last Refugee
Picture That
Wish You Were Here
The Happiest Days of Our Lives
Another Brick in the Wall Part 2
Another Brick in the Wall Part 3

Set 2:
Dogs
Pigs (Three Different Ones)
Money
Us and Them
Smell the Roses
Brain Damage
Eclipse

Encore:

Wait for Her
Oceans Apart
Part of Me Died
Comfortably Numb