[Lituania calling] Laibach, i totalitarismi allo specchio

Prosegue il nostro viaggio diretto al Juodaragis Festival – The Blackhorned Moon Festival, com’è conosciuto fuori dai confini lituani. Oggi vi parliamo degli sloveni Laibach, una delle band più importanti dell’edizione 2016.

Si presentano subito, in line up, come i main guests del festival.
A dire il vero, dovrei fermarmi subito e dirvi che non si tratta di una giovane band “da garage” ma stiamo parlando di artisti con una brillante carriera che parte dagli anni ’80, dall’impronunciabile comune di Trbovljie, nella regione di Zasavska. Il nome della band deriva dal nome tedesco della città di Lubiana.
La mia intenzione ora è cercare di spiegarvi cosa si cela dietro i Laibach. È un gruppo che “ha fatto scuola” e che da anni sviluppa concetti socio-politici, appartenenti a chi ha vissuto gli anni della guerra fredda e dopo della disgregazione dell’ex-Jugoslavia. La loro musica potrebbe essere definita una provocazione, ma non si limitano a provocare scrivendo testi le cui parole vadano a colpire i massimi sistemi capitalisti, anzi l’estetica dei loro lavori, ispirata alle avanguardie degli anni venti, li porta ad affermare l’esistenza di una volontà sociale di sottomissione ai sistemi fascisti e totalitaristi. In ogni spettacolo o video, il gruppo, con le sue scenografie impattanti e politicamente scorrette, realizza il suo “gioco”, ovvero prendere il sistema sul serio, non ironizzare e proprio l’accettazione di questa realtà pone in essere la loro rottura con questi sistemi.

La band, o meglio questo collettivo artistico-politico, si è occupata dell’estetica del potere e di come i poteri stiano portando all’annullamento dell’individuo. I richiami alle tesi dello psicanalista Slavoj Žižek,una delle figure filosofiche più eccentriche e controverse del nostro secolo, sono forti. Un leninista che si oppone al sistema comunista applicato dal governo sloveno professando un ritorno allo spirito puro del comunismo delle origini, rifacendosi a quella che Alain Badiou definisce “ipotesi comunista”. Di fatto un oppositore del totalitarismo e delle nuove sinistre “democratiche”. Tanto Žižek come i Laibach sono “elementi sociali”, vorrei definirli così, forse più leggibili in un prossimo futuro ma che, ancora oggi, ci permetterebbero di capire come chi ha vissuto il sistema comunista, e quindi di fatto una corrente totalitarista dal suo interno, possa aprirci la mente sul funzionamento della società odierna, dove a comunismo potremmo sostituire consumismo o sistema bancario.

I Laibach esprimono tutto questo sviluppando concepts industrial in tutte le sue accezioni. Un suono graffiante, metropolitano di un mondo “cementificato” e reso amorfo dal consumismo, che ci rende schiavi inconsapevoli. Le loro performance sono quelle tipiche dei gruppi che fanno dell’eccentrico la loro chiave di lettura, infatti non è raro vedere i membri della band vestiti come generali nazisti. Proprio durante una delle prime esibizioni, nel 1982, il cantante Tomaž Hostnik indossò una divisa militare e venne colpito da una bottiglia sul volto. Hostnik commetterà poi un suicidio simbolico impiccandosi su uno dei simboli di potere del governo Sloveno. La band da un primo momento disapprovò il gesto, poi decise di ritornare sui proprio passi dedicandogli anche l’istallazione Apologia Laibach postuma.

Così come la loro presenza scenica può destabilizzare l’animo, anche i loro concerti si trasformano in performance molto intense con la simbologia nazista a fare da sfondo. Come fece Hostnik così gli altri membri del gruppo creano quello che un artista deve creare ovvero un senso di disorientamento perché quando una canzone e l’impatto visivo di una band provocano una reazione non chiara sin da subito, allora scatta nel pubblico la voglia di capire e scoprire, facendo propria l’interiorizzazione del messaggio dell’artista. La loro eccentricità scenica impedisce una netta identificazione entro confini specifici. Difatti, non di rado i Laibach sono stati definiti lontani dai movimenti di sinistra così come da quelli di destra ma accusati di essere neo-nazionalisti, critiche alle quali nelle loro rare risposte hanno detto “siamo fascisti tanto quanto Hitler era un pittore”.

Le loro performance sono caratterizzate da una provocatoria Propaganda che porterà il musicista Richard Wolfson a dire: “il sistema dei Laibach è estremamente semplice ovvero creare facilmente interpretazioni erronee”. Prima di tutto catturano il manierismo dei nemici, usando tutti i seducenti elementi simbolici del potere di stato, portando tutto all’esagerazione fino ad una sorta di parodia…riversandosi poi sulle principali tematiche della società: paura dell’immigrazione dall’Europa dell’Est, i giochi di potere dell’EU, le analogie tra democrazia e totalitarismo.

Non a caso, quanto espresso dalla band li porterà a suonare in territorio Nord Coreano. Potremo rivedere in loro i nostri CCCP, seppur con le dovute differenze, come Ferretti poté suonare “A ja Ljubilju SSR” davanti ai militari Sovietici, così una band controversa che fa della parodia ai sistemi capitalisti un suo mantra non poteva esimersi dal suonare a Pyongyang, e come dirà una delle menti del gruppo Ivan Novak: “La Corea del Nord potrebbe essere vista come un’esperienza utopica. E noi ci siamo sentiti sempre a nostro agio con le esperienze utopiche”.

Stiamo parlando quindi di una band che sgomenta, ci lascia attoniti nel vederli vestiti come Kapo, che si fanno beffa dell’Apologia di reato, è come vedere Himmler libero di muoversi su un palco o in un video, accompagnati da questi suoni che incrementano in noi il senso di inquietudine. La loro forza sta proprio nell’attirare la nostra attenzione e catturati nella loro ragnatela cominciamo ad ascoltare un pezzo dopo l’altro, mentre la playlist di YouTube come un rullo compressore ci sottopone i loro video. Le immagini di questi “nazisti” che cantano in tedesco (così come in inglese) scorrono e spostando gli occhi dallo schermo ci fossilizziamo sul poster del Che che potremo avere in casa creando in noi una dicotomia di immagini. Ci chiederemo “…ma cosa sto ascoltando, degli esaltati pazzoidi…” ma sarà in quel momento che andremo a ascoltare i loro testi con più attenzione e a spulciare su internet la loro storia capendo che in realtà ci stanno facendo vedere allo specchio, rappresentando quello che un tempo era nazi-fascismo e per loro comunismo e oggi è rappresentato da altri simboli che non vediamo ma che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi. Quindi chi meglio di loro, gente che ha vissuto la guerra che ha visto come i poteri e la propaganda simbolica possano incatenare l’uomo, può alterare il nostro inconscio e farci capire in che mondo ci troviamo…quindi citando una della delle loro più singolari cover è iniziato il “Final Countdown” per vederli all’opera!

Marco Quaresima