LIIMA, “ii” (4AD, 2016)

Liima-goatSono nati da tre membri degli Efterklang, ma hanno tutto quello che serve per far sì che questo epiteto di parentela diventi sempre meno rilevante. A giudicare dal loro primo album infatti i Liima sembrano avere già un sound e un’identità molto chiara, che va ben al di là del seppur pregevole recinto synth-pop nel quale si muoveva la band danese di appartenenza.

I legami musicali con gli Efterklang sono ovviamente ancora riconoscibili, ma con “ii” Casper Clausen, Mads Brauer e Rasmus Stolber dimostrano fin da subito di aver fatto un notevole passo in avanti. In tutto questo esordio discografico sono infatti numerose ed evidenti le prove della maturazione di un sound complesso e stratificato, che si muove tra atmosfere e generi già conosciuti – il synth-pop, l’elettronica – e nuovi territori da esplorare – l’industrial, la sperimentazione. A dare vita ad un tale mix hanno contribuito prima di tutto due fattori: il primo, la presenza del percussionista finlandese Tatu Rönkkö, che nell’economia disco ha un ruolo determinante; e il secondo, la gestazione dell’album, che è stato registrato a Berlino in soli tre giorni, ma ideato e scritto durante numerose jam sessions ospitate in diverse città e località europee (oltre a Berlino, anche la Finlandia, Madeira, Istanbul).

“ii” è insomma un disco che nasce ed è costruito proprio a partire dall’eterogeneità che ha contraddistinto le diverse situazioni in cui è stato pensato e scritto. Al suo interno quindi convivono diverse sonorità, ma a stupire è proprio il modo in cui tutte le differenze vengono via via armonizzate e rese coerenti le une con le altre – a questo proposito, non ci sorprenda più di tanto scoprire che “liima” in finlandese significa “colla”.
Così, se è vero che il sound sfocia spesso in composizioni dalle atmosfere paranoiche, claustrofobiche e abrasive, è anche vero che qua e là la crescente tensione è alleggerita da momenti più caldi e solari. Da una parte infatti c’è un approccio noise-industrial nell’elettronica che contraddistingue brani come “Roger Waters”, “Woods”, “513”, un’elettronica che con le sue tinte oscure ricorda anche qualche momento ispirato dei Liars; dall’altra parte invece “Black Beach” e “Change Of Time” rivelano sonorità più spensierate o perchè no dancey, vicine ai momenti più colorati di Animal Collective e soprattutto di Panda Bear. Ma le due diverse anime del disco non sono mai in contrapposizione, anzi sembrano alimentarsi a vicenda, giocare sulla loro complementarietà o addirittura congiungersi in brani dalla struttura più ibrida, a volte alt-pop, a volte new-wave: è il caso di “Russians”, sorretta da un campionamento di fiati d’ottone simile ad una parata, e “Trains In The Dark”, nel quale i synth pomposi incontrano il calore della voce di Clausen.

I Liima in definitiva hanno prodotto un disco molto ricco, che ha il pregio di farsi apprezzare e scoprire col passare tempo. La densità del sound non lo rende accessibile in maniera facile ed immediata, così come invece succedeva per gli abum degli Efterklang, ma questo è un innegabile punto a favore: la complessità è spesso sintomo di crescita.


78/100

(Enrico Stradi)