LOU BARLOW, “Brace The Wave” (Domino, 2015)

lbLou Barlow, classe 1966, ha quasi cinquant’anni, trenta dei quali vissuti per il rock.
Rumoroso con i Dinosaur Jr., lo-fi e poi sempre più traditional con i Sebadoh, legato alla tradizione americana e non solo con i Folk Implosion. In mezzo a tutta questa grande musica c’è la figura di questo imperfetto loser, uomo sempre più libero di esprimersi anche attraverso i suoi dischi solisti.

Succede così che, tra una reunion dei Dinosauri e la rimessa in pista dei Sebadoh (bellissimo tra l’altro “Defend Yourself” del 2013) il nostro uomo dopo “Emoh” del 2005 e “Goodnight Unknown” del 2009 torna con un nuovo album a suo nome intitolato “Brace The Wave”. Acustico, scarno, intimo, come lo scatto di copertina; un selfie (autoscatto, pardon) che dice tutto sul personaggio. Irriducibile romantico del D.I.Y., convinto che la musica passi attraverso le emozioni, le canzoni, ovviamente e attraverso storie quotidiane da raccontare.

Succede così che, via la spina, una stanza, qualche chitarra, un microfono posizionato per il “buona la prima”. Funziona ancora, cazzo. Se hai qualcosa da dire, se non ti prendi sul serio, se hai la stessa passione di trenta anni fa. Se indossi una maglietta, probabilmente di venti anni fa. Vita Sonica si legge. Magari la gioventù è andata a farsi fottere, ma quello che ci tiene in vita non è quello abbiamo fatto ma quello che facciamo con la stessa consapevolezza di un tempo. Barlow oggi, volume on o volume off è un uomo che scrive un pezzo come “Repeat”.
Il folk che implode. Rifrazione di colori.

75/100

Nicola Guerra