La Top 7 degli album “da intorto”

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Non crediamo che ci sia bisogno della traduzione per la parola “intorto”, ma se per caso avete dubbi, beh, basta googlare “lessico bolognese” e ne avrete contezza. L’arte dell’intorto è attività antica, degna di ogni lode, meritevole di qualsiasi miglioramento. L’esperienza conta. E questa classifica non potrà contribuire alla riuscita o meno del vostro intorto, per quello ci pensate voi, ma potrà farvi porre qualche domanda sul fatto che forse non avete fatto centro proprio perché, in quel momento lì, avete messo su i Black Keys. Quando lei è salita su da voi, c’era da scegliere anche il sottofondo giusto. O forse saltarle addosso in completo silenzio. Siccome in questo campo non ci sono regole, ci asteniamo da ulteriori commenti e attendiamo piuttosto di leggere le vostre classifiche. Soddisfatti e non rimborsati, intesi?

7. Kruder & Dorfmeister, “The K&D Sessions”

Vabbé, qui siamo all’ABC. Talmente scontato che non ci si dilunga oltre. Ha il grosso merito che si può partire da una canzone a caso: sarà quella buona.

6. Gnarls Barkley, “The Odd Couple”

Quando c’è bisogno di un po’ di groove senza tirare fuori il trito-e-ritrito Marvin Gaye o, ancor peggio, Barry White. Possiede l’opzione “due passi sul sofà”.

5. Qualsiasi roba di Fausto Papetti

Lo so, nessuno ha in casa un album di Fausto Papetti. Ma tutti abbiamo Youtube: se il pc è acceso (altrimenti non vale la pena accenderlo, meglio ripiegare per un cd a disposizione, con la massima nonchalance) il sax del Papetti – il massimo del trash – è sottofondo talmente “telefonato” che occorre aver iniziato le manovre di avvicinamento ben prima. Troppo smaccato ma assolutamente funzionale.

4. Pink Floyd, “Relics”

Per le serate ad alta gradazione psichedelica: manifesta una certa cura anche per un’appassionata dei Floyd, garantisce l’effetto conversazione con l’iniziale “Arnold Layne” e poi si scivola via subito nelle visioni kubrickiane di “Interstellar Overdrive”, per aumentare i gradini della conoscenza. Alla bisogna, se proprio non c’è, si può sostituire con “Pet Sounds” dei Beach Boys o il primo dei Doors, ma non è la stessa cosa.

3. Nirvana, “Unplugged in New York”

Per gli amori malati, quelli complicati. Per mischiare l’effetto calore con quello ruvido, con in più gli applausi del pubblico. Che magari possono arrivare al momento giusto.

2. Washed Out, “Within and Without”

Che Ernest Greene puntasse ad insidiare il primato di “colonna sonora delle nascite” appartenente – una volta avevamo sentito una statistica in merito – a “Je t’aime… moi non plus” (suonata ad libitum) è evidente fin dalla copertina. Molta classe, tanto gusto soft-indie anni ’10, un andamento suadente. Perfetto per le serate estive, quelle in cui si suda, si suda… si suda.

1. Air, “Moon Safari”

Quando un album inizia con una canzone come “La Femme d’Argent” siamo dalle parti della massima summa dell’intorto. Qui si comincia con il clima giusto, si può proporre da bere in completa rilassatezza, si fanno capire tante cose. E già con “Sexy Boy” gli Air ci dicono che si può dare di più.

(Paolo Bardelli)