AMEN DUNES, “Love” (Sacred Bones, 2014)

amen dunes 1Chiamare un disco “Love” e riempirlo di canzoni d’amore non è propriamente una genialata, soprattutto se si tratta del tuo terzo disco e non un riempitivo di metà carriera. Si rischia l’indifferenza del pubblico e della critica, e se proprio va male si è presi anche poco sul serio.
Per invertire il pregiudizio che un titolo simile porta inevitabilmente a pensare bisogna fare un grande lavoro.

E lo diciamo subito: dietro a “Love” di Amen Dunes c’è proprio un grande lavoro. È un disco corposo, più lavorato dei precedenti del cantautore americano. E non è un caso che suoni così: per la prima volta Amen Dunes (che nella vita di tutti i giorni si chiama Damon McMahon) non ha registrato il disco da solo o quasi da solo. Alla produzione di “Love” ha lavorato gente del giro dei Godspeed You! Black Emperor, per esempio. Proprio per questo gli si potrebbe dire, a uno come Amen Dunes-Damon McMahon, che così facendo il disco suona meno intimo e sincero, ma ci si sbaglierebbe alla grande: “Love” è senza dubbio il suo lavoro più forte e convincente, a tratti persino potente.

Dentro ci sono undici canzoni tecnicamente perfette, che però come succede spesso alle canzoni tecnicamente perfette non suonano di plastica: anzi la voce che sentiamo raccontare le storie dentro a “Love” si agita viva, si spezza, si riprende, si distende, si rompe di nuovo. Ogni volta che finisce una canzone e ne comincia un’altra, Amen Dunes sembra cambiare umore, ogni volta con una voce nuova, ogni volta ci fa venire in mente qualche somiglianza dorata: ora Barrett, ora Dylan, ora qualcosa tipo i Velvet Underground, ora Banhart, qualche volta perfino un più moderno Mac De Marco. E se in tutte le canzoni il topic rimane lo stesso, ovvero l’amore, ad ogni traccia cambiano intensità, energia, suoni: il folk intimista a cui siamo già stati abituati si sente in “Lonely Richard”, “Lilac in Hand” e “Splits Are Parted”, ma ci sono anche e soprattutto alcune novità, come “I Know Myself” che sembra cantata in una grotta, “Rocket Flare” con i suoi accenni elettrici o “I Can’t Dig It” che sfodera un inedito e riverberatissimo rock’n’roll anni ’60.

Un sacco di cose, com’è giusto che sia in un album chiamato “Love”, un album che quindi supera alla grande la sfida del titolo: dentro non ci troverete nulla di scontato o banale, prevedibile o facilone. Questo per un motivo sopra gli altri: anche se il cantare intimo e riservato di Amen Dunes cerca di celarlo, “Love” è prima di tutto un album che esprime una grande ambizione nel fare musica. Perché per fare un disco chiamato “Love” ci vuole coraggio: le cose da cantare e da suonare sono molto più grandi di una persona sola, e per contenere tutta questa enormità serve un disco grande.
E questo Amen Dunes lo sa molto bene.

77/100

Enrico Stradi