MICAH P. HINSON, “Micah P. Hinson and the Nothing” (Talitres, 2014)

image001 (1)Partiamo dalle frivolezze. La copertina del nuovo disco dell’artista di Memphis cresciuto nel Texas doveva essere un’altra. Oppure quella che era non è quella che è. In ogni caso le gambe sexy con gli stivaletti che proiettavano un ombra sinuosa in un deserto qualsiasi, si sono fatte ancora più sexy, immerse nel nero del nulla. Eppure, quelle immagini, sono carne che si fa vita. Quella vita che il nostro ha rischiato più volte di abbandonare. Per le droghe prima, per un brutto incidente, poi, che lo aveva costretto ad un periodo di immobilità lo scorso anno. Ma si sa, la musica, ha spesso un potere salvifico nonché rigenerativo.

Così il nostro, assieme alla sua congrega di amici del nulla, a distanza di quasi quattro anni dal precedente lavoro, consegna alle stampe l’ennesima trasfigurazione della vita che ricompone i pezzettini di una esistenza difficile e tesse lodi al signore come nella migliore tradizione country/folk. Ma lo fa, ovviamente, a modo suo, con la solita classe e la solita voce sofferta che non lesina intensità e incredibilmente elettricità. Perché l’iniziale “How Are You, Just a Dream” è l’attacco rock’n’roll che non ti aspetti, con la chitarra che scarica tutta la tensione accumulata nei periodi di degenza e l’amore che pervade la seguente “On the Way Home – To Abilene” sarebbe attribuibile solo all’innominabile al quale Micah è stato spesso paragonato.

Fosse però solo questo; i tredici brani di questo lavoro grondano verità, passione, sincerità e il manierismo è solo nel ricalcare qualche schema di un country che pare in apparenza festaiolo come in “The Same Old Shit” o “There’s Only One Name”; quando però la voce si spezza e ci si rende conto che il groppo in gola ci viene consegnato da Micah stesso, ecco che quelle ballate al pianoforte fatte di niente, quali “I Ain’t Movin’” e “The Quill” sussurrano all’innominabile di uscire dall’ombra. L’eredità non bisogna per forza guadagnarsela. A volte basta vivere un pochino sopra le righe e raccontare tutto come se ci si trovasse dinnanzi ad uno specchio. L’uomo in nero faceva così, o mi sbaglio?

88/100

(Nicola Guerra)

20 marzo 2014