Peter Murphy, Orion Club, Ciampino (Roma), 26 maggio 2013

peter murphyA 16 anni ero dark. Vent’anni fa ero dark. Peter Murphy però non avevo mai avuto modo di ascoltarlo dal vivo, ma è sempre stato vivissimo nel mio personale gruppo di semidei. C’è voluto il 35° anniversario dalla fondazione dei Bauhaus per far calare quella specie di divinità su un palco terreno.

E stavolta ero presente.

Il mio immaginario live dei Bauhaus è sempre stato legato alle immagini di una vecchia VHS con la registrazione di un loro concerto dei primi anni ‘80: presenze emaciate e nervose su un palco scarno e grand-guignolesco allo stesso tempo. All’epoca Peter Murphy aveva poco più di vent’anni e la forza espressiva di un uragano che ti stravolgeva e ti arricchiva. Quando ho deciso di vedere questo concerto c’era in me un misto di emozione e paura atavica per i suoi ormai 55 anni e un gruppo che non erano i Bauhaus ma che ne suonavano i pezzi… Però cazzo, dovevo esserci.

L’apertura del concerto è stata affidata ai Bohemien, gruppo che tanto ricorda i Christian Death, ma cantati e mimati in italiano. Chissà, forse alla fine dei ‘70 avrebbero potuto esplodere, ora rappresentano invece la perfetta ouverture per calarsi nelle tanto malinconicamente agognate atmosfere del dark aulico del gruppo miliare inglese.

Una verifica tecnica del palco ed eccolo entrare per primo seguito dai suoi musicisti e inondato dalle acclamazioni del pubblico.
Alto, in gran forma, pallore polveroso sul viso e occhi di ghiaccio da angelo demoniaco; un viso che ancora oggi sarebbe perfetto per aprire il film “Miriam si sveglia a mezzanotte”. Accenna un “Thank you very much indeed” e attacca subito con “King Volcano”. Un tuffo al cuore e basta chiudere gli occhi per gioire del fatto che sembra ci sia davvero un concerto dei Bauhaus all’Orion, a Ciampino, in provincia di Roma, nel 2013. Un’acustica perfetta, com’è sempre più difficile trovare in giro, brani estratti da ogni loro lavoro, dal post-punk di “In the flat field”, all’elettro-wave di “Telegram Sam” al “quasi successo pop” dell’ ‘83 “She’s in parties”.

Ora, sarebbe facile sciorinare la lista dei brani dello show, scelti ovviamente col criterio del “grande classico”, ma non si è trattato di un concerto amarcord. A parte la vitalità di Peter Murphy sul palco, vorticoso, sensuale, ammiccante, un vero animale da palcoscenico, una vera prima attrice di teatro, una voce sempre decisa e possente e sicura, la forza ancestrale dei pezzi, ecco… Ripeto, bastava davvero chiudere gli occhi e sì, ero nella mia vecchia VHS. Una forza catartica che solo certa musica sa dare, che solo chi l’ha concepita sa ricreare e quella forza d’uragano ha ricominciato a vorticare nella perfetta location dell’Orion.

Bela Lugosi è morto e resuscitato nel momento in cui le note di basso hanno cominciato a cadere dalle scale, “The passion of lovers” ha ricominciato a far battere il cuore della sua vittima al primo dondolare di dita sulla chitarra, Ziggy Stardust ha perso per un attimo le jonesiane paillettes glam per atteggiarsi sul palco nelle fattezze di Murphy, mimo sublime per egocentrismi d’autore. Ancora bastava chiudere gli occhi per un gioco di teletrasporto temporale, ma anche se li riaprivi ciò che vedevi non poteva deluderti: un maestro d’armi musicali che seguiva e guidava i suoi giovani musicisti (il batterista su tutti, grandioso) con la sicurezza di indicare una strada maestra da lui fondata nel solco e nella direzione. Una strada che il pubblico ha ripercorso in questo concerto diretto da un Murphy addirittura quasi generoso nei contatti col pubblico che la venue riesce ad offrire.

Uno spettacolo vibrante e vivo, lontano da un’idea, quasi giustificabile dopo 35 anni, di autocelebrazione all’odor di naftalina.
E anche rischiando un’eresia 2.0, quello che abbiamo visto domenica è stato un vero e originale concerto dei Bauhaus.

(Elisabetta De Ruvo)

10 giugno 2013

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