INDIANS, “Somewhere Else” (4AD Records, 2013)

somewhereelseChe il calcio vi interessi o meno, questa è una bella storia.
Ryan Giggs, prima di diventare una ala sinistra e bandiera del Manchester United, ne era grande tifoso. Trascorreva la sua giovane vita in qualche posto sperduto dell’Inghilterra: case a mattoni rossi, pomeriggi spesi a giocare – bene – al pallone. Si racconta che un giorno al campanello di casa sua suonò Sir Alex Ferguson, l’ allenatore del Manchester United, deciso a fare del piccolo Ryan il campione che poi sarebbe diventato.

Søren Løkke Juul è un ragazzo danese a cui piace cantare cose morbide senza troppe smanie. Non sappiamo se anche lui conosce la storia di Ryan Giggs, ma chissà cos’avrà pensato quando a chiamarlo al telefono è stata la 4AD, etichetta discografica delle meraviglie, decisa a fargli incidere un disco intero.

E così Søren si è messo d’impegno, si è trovato un nome vendibile, Indians, e in poco tempo ha inciso “Somewhere Else”, un disco di dieci canzoni che sono la perfetta sintesi del suo modo di fare musica: folk malinconico, arioso, a tratti ipnotico, che mescola i suoni con grande sapienza pop.

Parliamoci chiaro, non c’è nulla che non possa piacere. “I Am Haunted”, “Bird”, “Magic Kids”, “Melt” e “Somewhere Else” sono pezzi riuscitissimi. Le chitarrine, il piano, il sale & pepe elettronico caldo, cose che conosciamo bene. Il problema è che mentre li si ascolta pensiamo subito ad altri: Grizzly Bear, Bon Iver, e la figliata di artisti tristi conseguenti. E mentre gli artisti appena citati hanno il merito di aver confezionato nel tempo un suono subito riconoscibile, Søren-Indians sembra essere ancora acerbo, esagerando un po’ col citazionismo, volontario o involontario che sia.

Insomma, il ragazzo ci sarebbe. Se fa i giusti passi ci sarà, le carte in regola ci sono tutte: le canzoni le sa scrivere e in testa ha i suoni giusti. L’augurio è che non finisca a far finta di essere triste e tormentato, macchietta à la Justin Vernon, che non gli si crederebbe. Piuttosto lo si immagina bene a cantare cose più luminose.
Arrivederci al prossimo disco, qui c’è cauto ottimismo.

65/100

(Enrico Stradi)

30 gennaio 2013

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