WU LYF, Magnolia, Milano, 29 Marzo 2012

Bisogna ammetterlo, fa uno strano effetto sentire alcune centinaia di ragazzi milanesi cantare con foga “No matter what they said, dollar is not your friend!”. Fa uno strano effetto perché non era facile prevederlo, ecco tutto.
Non era facile prevedere che una band come i Wu Lyf, composta da “quattro ragazzi semplici di Manchester”, come spiegato in perfetto italiano dal giovane chitarrista, avrebbe fatto così velocemente presa sui cuori di un così nutrito gruppo di persone, pronte ad accorrere al Magnolia per cantare e dimenarsi con le mani alzate verso il cielo, neanche fossero allo stadio.
Pazienza se chi scrive, dal basso dei suoi 25 anni, era tra gli spettatori più anziani presenti in sala; il popolo milanese ha risposto alla grande all’evento organizzato dal Magnolia, riempiendo il locale e trasformando un breve concerto rock in una sorta di mini rito collettivo.
Il merito va, come è ovvio, principalmente a loro, ai Wu Lyf, i veri protagonisti della serata.

Bastano pochi attimi per capire che non sarà uno show come gli altri.
É sufficiente che Ellery Roberts si avvicini al microfono posizionato sopra l’onnipresente organetto e canti i primi due versi di “Summer Bliss” e diventa tutto magicamente chiaro. Ebbene sì, quel timbro rauco e potente, caustico e graffiante, dal vivo rende ancora meglio che su disco, tanto che con una voce del genere tutto diventa improvvisamente più facile. Lo sgomento degli spettatori in sala è evidente, molti si guardano attorno increduli:”ma canta davvero così? Questo è pazzo, che voce…”
Ellery Roberts è un grande frontman, di quelli di una volta, dalla mimica schizofrenica e illeggibile, a tratti quasi aggressiva, ma i suoi compagni non sono da meno. Evans Kati (che scherza dall’inizio alla fine del concerto col pubblico in un italiano perfetto) alle chitarre è pulito e mai invadente, conscio com’è che il suo è un ruolo di rifinitura, in un gruppo in cui la mole di lavoro maggiore è riservata all’esagitato bassista Thomas McClung (davvero notevole anche la sua prova ai cori) e al dottissimo batterista Joseph Manning, talmente indiavolato da rompere un pedale durante l’esecuzione di “Concrete Gold”.

Nota di merito anche all’impianto sonoro del Magnolia e delle luci, che, modulate sapientemente dai tecnici, contribuiscono a creare quell’atmosfera da sabba collettivo evocata dalla scatenata prova dei quattro mancuniani.
Il pubblico danza e canta partecipe,dimostrando di conoscere a memoria le liriche di alcuni brani, e fa niente se si tralascia un verso, un paio di “Ooh oh” vanno benissimo per tappare i buchi. Come allo stadio, per l’appunto.

Tra una “Spitting Blood” ed una “Dirt” eseguite senza pausa per la gioia dei presenti, una “Heavy Pop” che accende gli animi ed una “We Bros” che scatena il pogo generale, l’ora scarsa di concerto fila via come fossero 5 minuti.
Alla fine dello show si abbandona la sala con la piacevole sensazione di aver assistito a qualcosa di simile a come dovevano essere i concerti punk di una volta, o a come piace immaginarseli. Quando tra urla, spintoni e sudore il confine tra pubblico e band si assottigliava brano dopo brano, fino a sparire completamente. Chapeau.

(Stefano Solaro)

1 aprile 2012

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