SOUNDGARDEN, “Superunknown” (A&M Records, 1994)

Prima dell’esplosione di “Superunknown” “Badmotorfinger” aveva proiettato i Soundgarden, tra i grandi gruppi dei 90’s, tanto da accompagnare in tour i Guns n’ Roses (ricordate lo Stadio delle Alpi?). Nessuno però si aspettava un capolavoro come “Superunknown”, uno dei migliori album di hard-rock moderno. Partendo dai padri fondatori (Black Sabbath e Led Zeppelin su tutti), il quartetto di Seattle è riuscito a creare un sound del tutto personale, sospeso tra passato e presente, lontano anni luce da qualsiasi trito revival “settantiano”(vedi la scena stoner).

Le canzoni sono lì a dimostrarlo. Nella devastante andatura di “Mailman” l’ ugola di Chris Cornell sembra evocare David Coverdale e Glenn Hughes, ancora più dietro arriva alla sofferenza dei blues-men, ma è sempre inserita nel chaos attuale. In “Spoonman” Kim Thayl lavora di potenza sulla sei corde accompagnato dalle poliritmie dell’instancabile Matt Cameron. Lo scorbutico bassista Ben Sheperd omaggia la magica psichedelia dei sixties in due suoi ottimi brani, il vortice pinkfloydiano di “Head Down” e l’ orientaleggiante” “Half”. La stranota “Black Hole Sun” è solo la ciliegina sulla torta di un opera maestosa, ricca di fascino e di arrangiamenti geniali, dedicata a chi pensa che negli anni novanta ci sono stati pochi lavori degni di nota. Qui ci sono classici come “Fell On Black Days”,”The Day I Tried To Live”,”4th of July”.

Il cd si chiude in tono sommesso con “Like Suicide” proprio l’anno in cui Kurt Cobain lasciò per sempre questa terra. E’ successo non molti anni fa anni ma sembra passato un secolo.

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