BLACK MOUNTAIN, “Wilderness Heart” (JagJaguwar, 2010)

Un amico direbbe che sarebbe poco obiettivo a parlare dei Black Mountain, perché rischierebbe di far venir fuori in lui il “cirrotico roccher” anni ’70 che era a quindici anni! Che venga fuori il cirrotico di tempi che furono se significa liberare il ricordo o l’idea di una giovinezza espressa da una musica che stigmatizza non necessariamente l’espressione più alta della libertà, ma certamente la più ruspante e onesta.
Al mio amico però direi di ascoltare serenamente “Wilderness Heart”, senza turbamenti, di sedersi in poltrona e godersi con sguardo e animo divertiti i 43 minuti del carosello musicale srotolato dai Black Mountain. Non verrà fuori il cirrotico che temeva, ma potrà veramente godere di brani come “Rollercoaster” insalata mista prog in salsa King Crimson, con un inciso maestoso che richiama platealmente “21st Century Schizoid Man”; di duetti elegiaci come quello di “Radiant Hearts” ballata semplice e bella, ma astutissima, che si fa canticchiare prima ancora di essere finita; o ancora, dell’immarcescibile classicone metal “Let spirit ride” che coniuga cavalcate rudi alla Deep Purple e allucinati contorcimenti alla Guns ‘n’ Roses, travolgente nella manifestazione del kit certificato per essere un hard rocker doc, ma da assaggiare in dosi ridotte per evitare un’intossicazione alimentare; di “Wilderness Heart” che permette alla Webber di intonare il suo miglior momento solista dell’album, incarnando un menefreghismo punkeggiante unito ad un ibrido tra Grace Slick e Deborah Harry; del lussuoso “The Space In Your Mind” dove tra chitarre folk e southern rock fa capolino un pizzico di synth vintage che Jeremy Schmidt aveva in sovrappiù, e che piazza ad effetto entrante-uscente più discreto che furbetto. Un assaggio rispetto alla prova apollinea di “Sadie”, dove prima di tornare psichedelica e quindi punto e croce d’alto artigianato, la tastiera resta psichicamente sospesa, spaziale, colonna portante di un cammino in ascesa, o in ascesi. Poi il brano si trasforma, e in un soft tribale porta a compimento l’intero album che si chiude con uno sfumato poco protratto.
I Black Mountain ribadiscono che il loro cuore pulsa altrove, con fedeltà maniacale ad un sound pietroso e originario, che percorrono con dimestichezza e versatilità appropriate al genere, però i tempi moderni battono cassa e le concessioni smussano anche le pietre più dure. Divengono più acid folk e meno stoner, più indie-pop e meno psych, un modo più addomesticato per farci assaporare con gusto personale la loro qualità performativa che rende il prodotto meritevole, da ascoltare con divertimento, come sfogliando l’album dei ricordi migliori.
“Wilderness Heart” è l’album fatidico dove i tratti della maturità iniziano a stabilizzarsi. Nel fare così un discrimine tra le spinte oggettive del mercato musicale odierno e le tendenze ideologiche dei Black Mountain quello che sento è una musica critica dei tempi (la scelta del linguaggio musicale non è mai casuale) che indossa bene il guardaroba hippie e rock ’70, ma che si pavoneggia nel suo personale narcisismo delle piccole differenze. Il connubio Stephen McBean/Amber Webber è in questo senso un passepartout per accedere a pie’ pari nel club delle griffate produzioni indie, autoindicandosi però come quelli che dicono meglio degli altri quel “qualcosa” che hanno tutti da dire. Più chic che mai. Con buona pace di tutti i cirrotici “roccher” del mondo!

(Stefania Italiano)

Collegamenti su Kalporz:
Caspiterina! – Il psich-and-prog-spiritual dei Black Mountain: tre date e nuovo video (25.09.2010)

King Crimson – Concerto a Ferrara
King Crimson – Concerto alla Centrale del tennis (Roma)
King Crimson – The Power To Believe
King Crimson – Concerto a Gardone Riviera
King Crimson – Construkction Of Light
King Crimson – B’ Boom
King Crimson – Discipline
King Crimson – Red
King Crimson – Lark’s Tongues in Aspic
King Crimson – In The Court Of The Crimson King

19 novembre 2010

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